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SPECIALE

Mina 70
di Luca Lupoli


Mina al Bussoladomani nel 1972

È difficile credere che Mina abbia compiuto settanta anni. Da un lato sono pochi perchè Mina, per quelli che hanno più di 50 anni, era una presenza costante nella radio e nella televisione degl’anni 60 e 70 e il suo buen retiro in Svizzera, lontana à jamais dai palcoscenici ne ha aumentato, se mai fosse stato possibile, il mito. Mina e Battisti – opinione personale – sono stati quelli che hanno cambiato la dimensione della musica popolare italiana. Battisti l’ha modernizzata, Mina ha fatto capire che non importa esser nati in un slum di Chicago o Memphis per avere una grande voce. Pur avendo, la tigre di Cremona, evoluto in contesti diversi dalle grandi cantanti di Soul e di Gospel, siamo in molti a ritenere che Mina, per talento e tecnica vocale, fosse al livello delle più grandi. Mina cantava Scat style quando nemmeno i più eruditi sapevano quello che fosse lo Scat; Mina cantava “Non gioco più”, un Blues con Toots Thielemans all’armonica – scusate se è poco - come se fosse nata a Clarksdale. Soprattutto nella sua produzione ekvetica Mina ha messo il Soul in diversi pezzi, “Mogol Battisti” per esempio, con risultati strepitosi.

Vorrei aprire una parentesi per coloro ai quali Mina può sembrare il reperto di una Italia minima, provinciale e meschina. Come altre donne nello spettacolo in quegl’anni, Mina ha dovuto subire critiche, scomuniche e sberleffo. Troppo bella, troppo brava, troppo sexy. Per i parrucconi catto-fascisti, una debosciata mangiauomini; per il monolite di sinistra, una serva della borghesia. Eppure la donna italiana, in un’Italia molto maschilista, venne aiutata a crescere anche dalle minigonne vertiginose di Mina, dalla sua voce sensuale, dalla sua fama di donna libera. Un simbolo di quei tempi. Essere la più grande, in competizione con altre cantanti, Ornella Vanoni, Patty Pravo, comunque straordinarie, ne evitò la distruzione psico-fisica alimentata dalla pressione quotidiana della stampa. Il suo esilio permanente a Lugano fu un taglio netto a una situazione ormai divenuta insopportabile.

Chi vi scrive, ha avuto l’onore di vedere Mina in quello che fu il suo ultimo concerto. Quando mi venne proposto storsi la bocca. Ascoltavo Muddy Waters, Paul Butterfield, B.B. King e Mina, a parte “Non gioco più” non rientrava nei miei orizzonti, brava, bravissima but not my cup of tea. Fu la gentilizza insistente dell’amico Ernesto De Pascale – proprio lui, il direttore-fondatore del PDB – a trascinarmi a Bussola Domani in una monotona sera di fine agosto 1978, e ovviamente gliene sarò grato per sempre. Dopo 32 anni i ricordi si fanno un pò sfumati, ma il concerto cominciò con un’impronta molto funky, vennero eseguite “Sì Viaggiare” di Battisti e l’hit disco “Stayin’ Alive”, la band girava a mille, Mina superlativa in tutti gli stili, inclusa la canzone napoletana classica. Per concludere, credo che i paragoni nella musica come in altri campi, siano sempre sterili. I sogni no. Sogno spesso di un disco di Mina con gli standard del Soul e del Rhythm’n’Blues, “Piece of my Heart” e “Mercedes Benz”. I sogni sono duri a morire.

Luca Lupoli


 

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