Esiste ancora qualcosa da scrivere sui Beatles? A 50 anni dal primo album, a 42 dal loro scioglimento e con una bibliografia ormai sterminata ha ancora un senso un libro dedicato al gruppo che ha cambiato la storia della musica? Forse sì, a patto che si trovi una chiave di lettura che forse non aggiunge novità particolari ma racconti la loro storia in maniera diversa dal solito. L’occasione è quella della collana di Arcana che è dedicata ai testi commentati e in questo caso l’autore è Massimo Padalino. Già in precedenza Padalino aveva esaminato le liriche e gli album del periodo 1962-1966, adesso tocca a quello 1967-1970 (il titolo è Hey! Hey! Hey!). Per chi ha dimestichezza con la discografia del gruppo, l’antologia con la copertina blu. Un periodo non certo semplice da affrontare: i Beatles per loro volontà non sono più un gruppo che si esibisce nei concerti dal vivo, ma nello studio di registrazione creano un capolavoro dopo l’altro. Album come Sgt.Pepper’s, che cambia la storia della musica popolare, The White Album e Abbey Road, che oltre a essere musicalmente esaltanti mostrano dei testi ben diversi da quelli semplici e comunque efficaci degli esordi. Versi dove critici e ascoltatori in genere si sentono in dovere di dare interpretazioni (l’esempio più lampante è Lucy in the Sky with Diamonds) che vanno al di là della poesia che sgorga dalle penne di John Lennon, Paul McCartney e, in misura minore dal punto di vista quantitativo, di George Harrison. Parlavamo di vasta bibliografia alle spalle e Padalino la usa con giudizio per non deviare dalla strada maestra, quella dell’analisi dei testi. Allora permettiamoci di spostare l’attenzione su un album che si identifica talmente con la title-track, Let it Be, da far passare in secondo piano buona parte degli altri brani nonostante la sua lavorazione sia stata immortalata in un film. Leggiamo con attenzione le parole di Two of Us (che John e Paul suonano e cantano divinamente nonostante che nel video non si degnino di uno sguardo), di Get Back (eseguita sui tetti di Londra), di The Long and Winding Road e Across the Universe. Tutti brani usati per dire la parola fine, ma che in pratica servono a prolungare il mito oltre la fine stessa. Una guida onesta nelle intenzioni e nei risultati, da tenere a portata di mano quando si decide di riascoltare con attenzione e ben concentrati album diventati dei classici.
Michele Manzotti
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