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Derek Trucks band - Soul Seranade
(Sony)


Nonostante la sua giovane età Derek Trucks
ha trovato presto un posto al sole con il suo stile chitarristico fluido costruito sui legati e i climax saturi cari alla generazione del padre e dello zio, quel Butch Trucks che ha reso grande la Allman Brothers Band seduto dietro ai tamburi da sempre. La storia della Allman Brothers Band è stato un modello da seguire a volte ed da evitare in altre occasioni per il giovane Derek.Il gruppo dei due fratelli, concepito sul concetto di grande famiglia ha aperto le braccia a Derek e gli eccessi si sono mostrati in tutte le loro sfumature oscure. Derek è, intanto, diventato così, in modo assolutamente naturale, una parte del gruppo senza dimenticare la propria carriera solista iniziata prima che a Dicky Betts, il chitarrista che rappresentava l’ala country del gruppo ma che con esso era cresciuto fin dagli esordi nel 1969, fosse dato il benservito dal resto della Allman Brothers Band. Appena ventiquattrenne, Derek ha portato nel gruppo aria fresca e idee giovani acquisendo confidenza ogni sera grazie alla vicinanza con quel gigante che è Warren Haynes. Adesso i due, studiato il proprio personale stile comune grazie alle molte jam, hanno fatto dimenticare ai fan I duelli fra Betts e Duane Allman. Intanto la Derek Trucks Band è giunta al quarto album, “Soul Serenade”(Sony USA, non importato in Italia ) e mostra grande maturità. Si mischiano I sapori jazz e le influenze mistico-raga, che nella famiglia Allman esistono dagli esordi dei fratelli, con un grande amore per il rhythm & blues dei primi sessanta che ha visto alternarsi nei dischi del giovane colossi come Solom Burke mentre questa volta è il vecchio Gregg a cantare in modo strepitoso il vecchio “Drown in my own tears” di Henry Glover che molti identificano nella versione di Ray Charles di 40 anni fa. Kofi Burbridge, al flauto e al piano, conferisce al disco un tono esotico aumentato da Derek che suona con enorme maturità. Un bell’album che piacerà non solo ai seguaci degli Allman ma che vale la pena ascoltare perché il frutto di un bel lavoro di ricerca di un giovane da tenere d’occhio.

Ernesto de Pascale

Giulia Nuti

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