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Lou Dalfin - L’òste del diau
(Tarantanius/Venus)



È confortante pensare che l’occitano sia una lingua che ancora oggi dia lo spunto per creazioni artistiche. L’Occitania era tutt’altro che un’espressione geografica: tutto il sud della Francia nei secoli medioevali era sotto l’influenza della lingua d’Oc, quella dei trovatori, contrapposta alla lingua d’Oil, poi divenuta dominante e madre del francese moderno. Ma le isole linguistiche resistono nonostante l’opera degli uomini, e la musica di oggi, sempre alla ricerca di nuove fonti di ispirazione, può attingerne a piene mani. In Italia la lingue occitana è patrimonio di alcune valli piemontesi e da quella regione viene il gruppo Lou Dalfin, che si era già imposto all’attenzione di pubblico e addetti ai lavori per la sua attività live e per vari album tra cui La Flore de Lo Dalfin (2001). Oggi Il gruppo torna oggi con il Cd L’òste del diau (L’oste del diavolo), stampato dalla Tarantanius e distribuito dalla Venus. E’ un notevole passo in avanti della formazione rispetto al lavoro precedente per un motivo fondamentale: gran parte dei brani inclusi sono originali rispetto alla gran quantità di materiale tradizionale recuperato nel 2001. Un grosso rischio per una musica di chiara ispirazione popolare con i ritmi tipici dei ritrovi di paese e con le melodie e strumentazioni spesso simili a quelle di origine celtica o pseudo tali. Va detto però che Sergio Berardo, leader del gruppo e compositore del materiale, sa trattare con maestria i brani. Gli arrangiamenti (con la presenza di viola, flauto, cornamusa, tuba, chitarra saracena tra gli strumenti, accompagnati alla ritmica di basso e batteria) non presentano quelle sbavature che spesso portano a effetti pacchiani. La vera scommessa era forse quella di rendere in studio ciò che di solito viene proposto dal vivo. A questo scopo risultano riusciti gli strumentali (Las pitabelhas/Vila nòva) , il brano che dà il titolo all’album, o la combattiva Sem encar ici. Curiosa poi la scelta di note in occitano e traduzione di testi in italiano e francese. Come per evidenziare il ponte tra le due culture attraverso la rinascita di una terza, autonoma, solo apparentemente sconfitta dalla storia.

Michele Manzotti



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