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Gianni Coscia Renato Sellani - Galleria del Corso
(Giotto Music LM104)
Che dire? Il titolo stesso del disco porta ad un periodo lontano e si sa che quando si parla di cose passate si tende ad ammorbidire i contrasti, tanto che quello che allora sembrava grigio oggi magari lo si ricorda patinato di rosa, rischiando di tradire la realtà e aggiungendo un po’ di zucchero ad un caffè che forse allora era amaro.
I brani scelti non fanno che accentuare questo timore: ripescati fra il meglio degli standard italiani ed internazionali, costringono a paragoni impietosi fra quanto si scriveva allora e quanto invece viene quasi sempre imposto oggi dal mercato, che probabilmente è asfittico anche per via di centinaia di proposte musicali (sia canzoni che artisti) che durano una stagione, un mese, in alcuni casi la sola settimana in cui, non si sa per quale misteriosa ragione, si affacciano nelle classifiche di vendita o di gradimento radiofonico.
In effetti, la Galleria del Corso è stata la culla, l’asilo, il liceo e l’università della canzone e della musica leggera italiana.
Come si legge nelle note del libretto, era il posto dove i musicisti si incontravano, dove chi era senza lavoro poteva trovare un ingaggio, dove chi cercava canzoni non aveva che da entrare in decine di uffici di case editrici e chiedere al maestro di ascoltare al pianoforte la nuova produzione.
E molte volte questi maestri erano fior di musicisti: lo stesso D’Anzi, uno dei più grandi compositori italiani, presente nell’album con la bellissima “Non dimenticar le mie parole”, proponeva personalmente le sue creazioni agli artisti in cerca di novità.
Fatte salve queste premesse, ho messo sul piatto il disco, ripromettendomi di essere il più imparziale possibile.
Beh! Alla fine mi sono accorto che non si può essere imparziali con questi due senatori che, sembra di vederli, si siedono e cominciano a dialogare insieme su temi affrontati centinaia di volte ma che ogni volta è come se fosse la prima, tanto si sente che partecipano e vanno dentro le atmosfere, improvvisano e gigioneggiano, a volte suggerendosi a vicenda frasi e riff patrimonio comune di chi fa jazz da una vita, ma con una classe ed un’ironia che le fa sembrare inventate sul posto.
Coscia ci ricorda una volta di più, se mai ce ne fosse bisogno, che la fisarmonica è uno strumento bellissimo e Sellani, da par suo, quando ha ribadito abbastanza il suo approccio poetico e lirico con lo strumento, ci spiazza con una interpretazione anni ’30 di “Dinah” che di colpo ribalta l’immagine che ci eravamo fatta di lui.
I brani, come già si è detto, sono tutti belli e non è il caso di parlarne, tanto sono conosciuti.
Una sola curiosità: di chi sarà stata l’idea di tradurre “Sweet Giorgia Brown” con “Dolce Giorgia Marrone”? Dei musicisti? Del produttore? Comunque divertente.
Questi due signori della musica meritavano di essere riuniti e, visti i risultati, ci auguriamo di vederli insieme in una serie di serate uguali a quella che ha dato l’occasione di realizzare questo disco, per il piacere di riascoltarli e di rivivere dal vivo le stesse sensazioni che la registrazione ci dà.
Rinaldo Prandoni
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