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Jackson Browne arrivò a noi tramite i programmi radiofonici “Per Voi Giovani” prima, “Popoff” e “Radiouno ventuno e ventinove” poi. In entrambi i casi ci venne introdotto dalla voce dinoccolata e piena di calore di Carlo Massarini, il più giovane dei conduttori di quei programmi, un grande amore per la musica americana e una capacità di farti entrare nelle canzoni assolutamente straordinaria. Sulla carta stampata il merito fu tutto da ascrivere a Maria Laura Giulietti dalle pagine di ciao 2001. Quest’ultima aveva viaggiato fino alla California poco prima di quelle stagioni,1972-1973,1973-1974,1974-1975 (ogni stagione corrisponde a uno dei programmi prima indicati) e aveva portato da laggiù una attitudine che non avevi ascoltato da nessun’altra voce femminile alla radio. Dietro di loro guidava i giochi un funzionario, poco più anziano di loro dal fiuto eccezionale e con un intuito che ho potuto costatare in pochi altri esseri umani. Il suo nome è Paolo Giaccio.
Jackson, anzi, “Brother Jackson”- giusto se stai cercando un amico che ancora non conosci… - ci arrivò così, con il suo carico di umanità grazie alle traduzioni di Carlo Massarini che Ciao 2001 puntualmente pubblicò. Fu una vera e propria folgorazione sulla via di Damasco per quelli come me, come noi, come voi – età compresa fra i 13 e i 18 anni, perciò nati fra il 1955 e il 1961 circa… - che si videro riversare addosso le parole più indicate, le note più azzeccate, le armonie più westcoast e in generale una musica di una bellezza rilucente come poche altre se ne stavano ascoltando all’epoca.
Nel periodo più delicato della nostra maturazione sentimentale trovammo un fratello che ci portava per mano, spiegava, trovava motivazioni e significati alle nostre (quotidiane?) “tronate” per questa o quella compagna di scuola (Antonello Venditti docet!) o chi per ella.

Gianni Rosati, membro fondatore dei Lightshine, la prima vera band per entrambi, compagno di mille avventure ma soprattutto amico di quei giorni (ci conoscemmo nel 1974) per ciò indimenticabile e indimenticato, con il quale, oltre alle ore di musica suonata e ascoltata, dividevamo un ipotetico “muro del pianto” (e delle speranze) fu il primo a raccontarmi l’America della musica e dei nostri sedici anni da vicino, al ritorno di un lungo Coast to Coast nell’estate 1974.
Rosati scrisse per “The Greyhound Voice“, la fanzine di 4 numeri che eroicamente (scusate ma altri termini mi mancano se solo ci penso…) produssi nel 1975, un toccante pezzo su Jackson.
Lo riproponiamo per il vostro (e nostro) piacere qui di seguito nella sua forma originale corredato da una serie di immagini dalla collezione privata di Gianni in occasione della sua prossima solitaria tournée italiana che toccherà Udine, Firenze (29 nov) e Bari .
Buona lettura
Ernesto de Pascale,Firenze 17.10/2004




Jackson Browne. Se stai cercando un amico che non conosci ancora…

Questo, più di un semplice profilo, potrebbe essere il ringraziamento a colui che nei suoi dischi ci ha mostrato la faccia della propria personalità, nella quale tutti noi possiamo ritrovare noi stessi. Questo è Jackson Browne, che nei suoi tre dischi usciti finora (“saturate before using”, “for everyman“, “late for the sky“) ci ha offerto un suono sempre velato di dolcezza. Con una vena interiore che niente ha da invidiare a Crosby, alla semplicità di Nash, o alla poliedricità di uno Young. Ma ciò che più di ogni altra cosa innalza Jackson un gradino più in alto di tutti è l’incredibile fusione tra testi e musica, dove un’intera gamma di sensazioni e di stati d’ animi è contenuta nelle liriche che la musica riflette con incomparabile lucidità.

Jackson Browne incide per l’etichetta “Asylum“ (una garanzia per i patiti di country) la cui punta di diamante è costituita dagli”Eagles” solitamente ospiti nei dischi di Jackson, che a sua volta li ha aiutati nelle loro composizioni. Fra gli altri ospiti dei suoi dischi ve ne è uno che potrebbe, tranquillamente, essere suo fratello, David Lindley: la sua chitarra parla ogni qual volta Jackson si interrompe, si potrebbe esemplificare il tutto dicendo che Lindley ha il dono di tradurre l’inglese in musica.



Jackson Browne esordisce, dopo anni passati nascosto agli occhi di tutti, con un disco già ampiamente maturo (“Saturate before Using”) dove in compsizioni come “Song for Adam”, dedicata a un amico perduto nella quale già appare una delle tante immagini frequenti in futuro (“…ora mi sento come una candela che è stata spenta..”), “ From a Silver Lake “, dove Crosby canta la voce della coscienza. Pur non avendo questo disco la raffinatezza dei seguenti racchiude la sua semplicità proprio in una indovinata essenza di dolcezza resa perfettamente dagli equilibrati arrangiamenti. E mentre le note di “ my opening farewell “ sfumano giunge, pronto e sicuro il suo secondo album “For Everyman”, indiscutibilmente il suo capolavoro, un disco paragonabile in dolcezza, serenità ed equilibrio solo ad “after the Gold Rush” di neil Young.
Non possiamo parlare, perché non sarebbe concepibile, delle canzoni, ma bensì dobbiamo vedere in ogni suono un po’ della vita di Jackson: momenti di serena scanzonatezza (“Red neck friend”, “i tought i was a child“) o di sconforto 8 “These days”, “colours of the sun”) o di ottimismo ed iniziativa (“take it easy“, “sing my song to me“) tutti raccolti nella finale “for everyman “, vera apoteosi del disco; struggente ed evocativa. Non c’è attimo di incertezza, ogni canzone è un gioiello a sé stante grazie alla perfezione degli impasti strumentali e vocali.



Non più di un anno fa esce “late for the sky”. Marcatamente elettrificato, anche qui la musica fa sognare ad occhi aperti, fa viaggiare sulle note di “further on”, e di “for a dancer “, anche qui la musica è accompagnata da testi dolcissimi, alcuni pieni di sconforto (“late for the sky”, “before the deluge” ) alcuni a lieta conclusione (“fountain of sorrow”, “the late show”). Raramente qualcuno era riuscito a creare momenti più profondi ed evocativi, come vi è riuscito Jackson Browne. “…cantami i miei sogni/ raccontameli/ perché vorrei sapere quando viene il mattino…” dice Jackson in un frangente dei suoi testi, o altrove “…quando te ne andasti/ sembrava che la vita mi fosse caduta di mano e io non riuscissi a trovare i pezzi…” o fa considerazioni amare “…aiutami a trovare un modo per riempire queste ore vuote/ finché la mia nave non trovi il mare…”
Per concludere potremo immaginarcelo come un verso delle sue canzoni”… se tu mi dovessi cercare/ mi troverai a Londra/ partito per un sogno…” Semi sdraiato sotto un albero, con un filo d’erba in bocca, gli occhi perduti in quel cielo a lui tanto caro: in fondo lo dice anche lui che è “solo un altro sognatore“.
Un consiglio veramente da amico: non sentite mai questo disco prima di coricarvi: potreste sognare di trovarvi in California e credere di esserci veramente.


Gianni Rosati

Da “the Greyhound Voice“ fanzine autoprodotta da Ernesto de Pascale, n. 3 presumibilmente del’ autunno 1975
le foto provengono dalla collezione privata di Gianni Rosati


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