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Roger Waters Ça Ira
(Sony Classical-Columbia)
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A night at the Opera with Roger Waters, describing French Revolution
La Révolution Française trouve son place a l’Opéra avec la musique de Roger Waters
Per parlare di questo lavoro bisogna dimenticarci di cosa rappresenta Roger Waters. Quindi i Pink Floyd, lavori come The Wall e altri ricordi da ascoltatori di rock vanno assolutamente messi da parte. Perché Waters questa volta cambia genere e si dà all’opera. Non il musical, non l’operetta, ma l’opera lirica che è stata la forma più popolare nei secoli passati, prima di essere messa al bando da tanti autori del novecento (da Webern a Boulez) e perdere molto del suo potenziale comunicativo grazie all’esperienza dodecafonica, seriale e alle sperimentazioni che hanno dato il colpo di grazia alla melodia, elemento fondante del linguaggio operistico. Eppure è un genere il cui fascino ha colpito vari autori: pensiamo alla poco conosciuta produzione di Nino Rota, senza dimenticare le commistioni teatro-musica di Azio Corghi, o le provocazioni come Le Grand Macabre di un compositore non certo facile all’ascolto come György Ligeti. Waters, dal canto suo, decide di prendere ispirazione dal periodo a cavallo tra il diciannovesimo e ventesimo secolo studiando molto i maestri italiani e francesi. In questo è anche aiutato molto dal libretto di Etienne e Nadine Roda-Gil. Forse è questo l’aspetto più interessante di Ça Ira (titolo di un canto rivoluzionario): ricordiamo infatti come la Rivoluzione Francese sia stata letta operisticamente solo da Umberto Giordano, autore del verismo italiano, che nel suo Andrea Chénier raccontava la storia di un amore sullo sfondo dei fatti di fine ‘700. Ma i francesi, sempre parlando di opera, non si erano mai avventurati su questo tema. I due librettisti lo fanno senza forzature drammaturgiche, ma risolvendo la storia in un ambito circense, dove i personaggi sono simboli di uno stato d’animo e di una funzione più che di figure storiche e dove il coro di adulti e ragazzi interagisce come fu nell’azione rivoluzionaria. Spesso il costume è da volatile per simboleggiare la provvisorietà del momento e il continuo fluire degli eventi. Solo il Re e la Regina sono personaggi reali, ma sono pedine di un disegno più grande nel quale verranno eliminati. La Regina Maria Antonietta specialmente vive come in un sogno, che inizia nella sua Vienna prima di sposare Luigi XVI, con la voce della regina Maria Teresa d’Austria che compare come monito. Waters regge molto bene le parti corali e i continui dialoghi tra i personaggi, così come spesso trova una buon ispirazione nelle parti più liriche. L’aria non è mai una forma chiusa, ma è trattata come momento di passaggio tra una situazione e l’altra, secondo la lezione di fine ottocento. Gli echi di autori come Jules Massenet e Charles Gounod si mescolano a un trattamento orchestrale più vicino ai nostri Giacomo Puccini e Pietro Mascagni. Sicuramente è un lavoro ben studiato, meditato, che necessita di una visione scenica per essere apprezzato al meglio. Tutte le componenti artistiche hanno lavorato al meglio nell’incisione discografica, a partire dai cantanti principali Jean-Luc Chaignaud, Ying Huang, Paul Groves che devono giostrarsi tra vari personaggi togliendo ogni tipo di retorica che appesantirebbe la narrazione. Bene anche l’orchestra diretta da Rick Wentworth, ma forse sono i tre cori a conferire il valore aggiunto al disco, le London Voices, il London Oratory Choir e le voci bianche de l’Opéra National de Paris. Un lavoro, in sostanza, che gli appassionati di opera possono apprezzare senza preconcetti. Ci pare più difficile che la stessa accoglienza verrà fatta dai fans dei Pink Floyd, e sarebbe comunque un peccato.
Michele Manzotti
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