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Tim Ries – The Rolling Stones Project
(Concord Records)
www.timries.com
www.concordrecords.com



It’s NOT only Rock’n’Roll, but we like it. Stones go jazz, due to their friend Tim Ries.

Se è destino di tanti artisti di fama è quello di vedere trasformati e rielaborati i loro pezzi, l’augurio è almeno quello di trovarsi di fronte a versioni che abbiano personalità e che non siano un inutile clone dell’originale. Se poi, e questo è il caso dei Rolling Stones, a interpretare i brani è il loro sassofonista di fiducia Tim Ries allora possiamo affrontare l’ascolto senza preconcetti. Ries ha infatti partecipato a due tour mondiali degli Stones, ma resta un musicista dalla solida formazione jazz. Così questo album e la chiara sintesi di due mondi che si incontrano: quello delle canzoni di Jagger-Richards, con tanto di stadi pieni e dischi venduti a palate, e quello del jazz club dalle atmosfere e dalle tonalità più raccolte. Se però entriamo in questo club virtuale, ci accorgiamo che fa parte della categoria extralusso. Perché troviamo tre degli attuali Stones (Keith Richards, Charlie Watts e Ronnie Woods) il loro abituale bassista Darryl Jones, signore della canzone come Sheryl Crow e Norah Jones e jazzisti del calibro di John Patitucci, Bill Frisell e Bill Charlap. Tutto ciò può rivelarsi inutile se però manca colui che riesce a creare un suono particolare, un’unica sensazione dall’inizio alla fine dell’album. Allora ecco che i sax di Ries (tenore prevalentemente ma anche soprano, con un salto timbrico superato in modo notevole) riescono a evidenziare musiche e brani di fama in modo diverso, più raccolto. Tutti gli ospiti sanno di trovarsi a casa di Ries e si comportano di conseguenza: chi avrebbe mai pensato di trovarsi di fronte a Honky Tonk Women per trio di sax, organo Hammond (Larry Goldings) e batteria suonata da Charlie Watts in uno stile inconsueto per lui. Oppure a un’onirica Ruby Tuesday in duo con Frisell alla chitarra, e a un’affascinante Paint It Black con la vocazione orientaleggiante del tema che lascia spazio a un interplay di grande livello. Anche la stessa Norah Jones, voce solista in Wild Horses, non va sopra le righe e si mette al servizio dell’atmosfera jazz, così come fa Lisa Fischer in molti brani tra cui l’affascinante e visionaria Gimme Shelter. Su tutti svetta l’eleganza del sax di Ries che sa onorare al meglio compagni di viaggio noti come grandi intrattenitori. E che riesce a interpretare con classe e rispetto al tempo stesso.

Michele Manzotti

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