Lovely labour of love by Martyn Hanson on one of the greatest underrated english band of the early seventies and on his leader, the great blues guitar player Tony Mc Phee, still going strong. Unmissable book for those interested in early seventies’s UK music scene.
Tony Mc Phee, chitarrista seminale del blues inglese, braccio destro per anni in terra d’Albione di calibri quali John Lee Hooker ma, più di ogni altra cosa, fondatore e leader dei Groundhogs, è sempre stato un personaggio visionario, poco propenso a socializzare con l’elite delle rock star britanniche di cui avrebbe potuto facilmente far parte sin da subito.
Mc Phee ha da sempre preferito costruirsi una solida reputazione sulla strada, a contatto con il pubblico, sperimentando sulla propria pelle, passando dal British Blues degli esordi dei Goundhogs di “Blues Obituary” all’originalità di “Thank Christ for the Bomb” e del più celebre “Split “fino agli esperimenti con i sintetizzatori di un bell’album solista da riscoprire”The Two sides of Tony Mc Phee “(WWA) del 1973. Nel giro di soli sei anni i Groundhogs ( gli altri due erano Ken Pustelnik al basso e Pete Crickshank alla batteria poi sostituito da Clive Brooks provenienti dai canterburiani Egg ) avevano toccato molti punti cardinali della musica che era nell’aria ma avevano anche visto il mondo a cui appartenevano sin dagli esordi e cioè quello del blues inglese fratturarsi, rigettando indietro alcuni grandi talenti e esaltandone altri.
“Hoggin’ the Page, Groundhogs The Classic Years” di Martyn Hanson (Northdown Publishing) è un affezionato sguardo nelle pieghe di una band che non si è mai voluta arrendere. Mc Phee, considerato sin da subito alla stregua di Clapton, Beck, Page e Richards non ha avuto la stessa loro fortuna né la ha mai cercata. Il gruppo e il chitarrista ebbero nel dj John Peel un ardito sostenitore e in Mick Jagger un anfitrione (gli ‘hogs aprirono al tournee inglese del 1971 degli Stones) ma i media non seppero mai trovare un posto a un gruppo che cercava una strada originale senza perdere le radici del blues.
“Hoggin’ the Page”, realizzato con l’ausilio di Mc Phee stesso, dei vari membri della band, management, amici e sostenitori è uno sguardo approfondito sul gruppo negli ani d’oro dello stesso e, allo stesso tempo, è uno sguardo da dietro alle quinte alla faticosa scena quotidiana del rock dei primi anni settanta, anni in cui il sostentamento era ricavato solo dai concerti in una epoca in cui non si scaricavano suonerie, né ci si gestiva su myspace, né ci si promozionava con videoclips scaricabili su youtube.
Illustrato con belle foto d’archivio dalla collezione privata di Tony Mc Phee, il volume si sofferma sulle qualità del chitarrista, un uomo che fra i primi realizzò uno studio di registrazione indipendente nella sua casa di campagna, anticipando i tempi.
Mc Phee ancora in attività è un beautiful loser di prima categoria, un grande chitarrista di blues e la sua strada oltre che a incrociarsi con quella della straordinaria e dimenticata Jo Ann Kelly incontra la John Dummer Blues Band. Hapsash and the Colored Coat, Herbal Mixture e molti altri nomi minori dei tardissimi sessanta.
Mentre la stampa si accaniva viziosamente scalciando nel dimenticatoio i Groundhogs che pur avevano toccato le centomila copie con “Split”, iniziava la resurrezione di Mc Phee e la cosciente presa di posizione di colui il quale sapeva e sa i propri meriti e le proprie capacità. Il tempo ha dato ragione a Tony ancora in attività e “Hoggin’ The Page “ è un volume che aprirà uno spaccato non usuale su un periodo di cui scopriamo non sapere ancora abbastanza.
Ernesto de Pascale
|
|