Solomon Burke’s latest journey to the Promised Land is a terrific collection of contemporaryCountry & Western meets Rythm & blues songs sang by The King of Rock & Soul on a Church ‘s steps
“Sono un ragazzo fortunato” esclama sulla coda di “Millionaire” Solomon Burke e non perché qualcuno gli ha regalato un sogno ma perché nella sua lunga carriera un senso di continuità e di fedeltà a se stesso lo ha portato a incidere album che, di volta in volta, lo riportano in auge come è stato solo pochi anni fa con “Don’t Give up on me“ e non di meno oggi con questo “Nashville” prodotto e pensato da Buddy Miller e realizzato in una sola settimana con la crema di Nashville e ospiti come Dolly Parton, Gillian Welch, Emmilou Harris, Patti Loveless, Patty Griffin.
Dove stia di casa il country King Solomon lo sa molto bene dai tempi di “Just out of reach” che se pur non fu presentata al pubblico come Rythm & Blues meets Country & Western a quella fortunata combinazione apparteneva.
Il risultato, peraltro ottimo, non era da dare per scontato: il settantenne cantante di Philadelphia ha una voce che sovrasta tutto e facilmente distrugge ciò che passa. Bravo quindi Miller che pur lasciando sfacciatamente upfront ha costruito (quasi) sempre bene. Esemplifichiamo indicando l’ultimo brano della raccolta, “’Til i get it right“, che alle prime battute suona come un outtakes dalle ultime registrazioni di Johnny Cash ma si sviluppa poi musicalmente e per blend altrove, in un country pop melodico che contrasta piacevolmente con lo stile vocale di Solomon che lo fa tramuta in cosa propria.
In questo “Nashvile“, grazie alla mano di Buddy Miller, Burke non fa niente altro che interpretare la contemporaneità del genere nashvilliano: gli viene, per esempio, benissimo nel duetto con Emmilou “We’re gonna hold on“ di Gorge Jones, uno che aveva compiuto il percorso in direzione opposta verso il Gospel in tempi davvero non sospetti e più in generale quando le sue corde risuonano sulla strumentazione locale. Parimenti da bravo Pastore Battista quale è tutto acquista una qualità chiesastica come in “Seems like you gonna take me back“ in cui una certa frenesia Gospel prende il sopravvento e pare che nello stesso attimo tutti i musicisti abbiano visto la luce.
Cose da Solomon Burke, insomma. Quel che più e meglio si evince è che il cantante nero sia stato, e probabilmente ancora è, un grande ascoltatore di stazioni radio dedite esclusivamente alla country music. Il duetto con Dolly Parton, “Tomorrow is forever” per essere più chiari - ha il suono di ciò che si vorrebbe realizzare da una vita dopo averlo assimilato da tempi immemorabili. Il risultato lascia affascinati. Si va avanti così per 14 canzoni che hanno tutte una loro reason why e una unità che proprio il cantante detta.
Ci piace immaginare l’inclusione all’ultimo momento di un brano di Bruce Springsteen, “Ain’t got you”, proprio nei giorni in cui The Boss pubblicava “We shall overcome “ cd a cui Miller e Burke devono aver dato una veloce ascoltatine in tempo per chiudere la registrazione di questo “Nashville”.
The King of Rock & Soul che è uno di quelli che non si fa sfuggire proprio nulla si ipotizza - avrà fatto specifica richiesta al produttore di questa aggiunta che pare un segnale al cantautore di Asbury Park quasi a ricordargli di fermarsi ad ascoltare a chi spetta il diritto di un certo suono.
E quando alla fine del take di “ain’t got you“ i musicisti, assolutamente rapiti l’un dall’altro si trovano tutti uniti all’ultima battuta l’esclamazione di Solomon Burke mette la parola fine a qualsiasi controversia. “Che cosa sta accadendo qui“ esclama sventolandosi pare vederlo “siete forse stati illuminati?“. La risposta è positiva.
Anche questa volta Solomon Burke, che negli ultimi 4 anni ha realizzato 3 fra i più bei dischi della sua carriera, ha trasportato il dizionario del soul fra gli scettici e i non credenti. Proprio come Jesus Christ. Superstar naturalmente, come solo Solomon Burke sa essere con la sua immensa e innata regalità.
Ernesto de Pascale
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