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Eric Mingus - Healin’ Howl
(Intuition)

Mingus looks back in anger

Eric Mingus è un arrabbiato cronico, un uomo con una coscienza. Il senso della vita, il gusto per la provocazione gli è lo ha insegnato molti molti anni fa il padre Charlie, non solo uno dei grandi jazzisti del secolo scorso ma anche un poeta di quella musica.
Eric ha iniziato la sua carriera lì dove il padre mise la parola fine al suo volume “Beneath The Underdog”, in italiano “Peggio di Un Bastardo”, con un blues abrasivo e scomodo, prodotto nei bassifondi di New York City da talenti drop out e da geni incompresi, fra i quali Eric si è rifugiato.
Figlio acido e corrossivo di tale padre, Eric ha un secondo padre putativo in Tom Waits, un punto chiaro di riferimento in Lenny Bruce, un ancora di salvezza in John Sinclair, ex manager di MC5 e oggi shouter arrabbiato della generazione dell’amore, sempre in movimento a oltre settant’anni.
“ Healin’ Howl”, suo nuovo album, è un viaggio nella coscienza dell’uomo comune che ha perso e continua a perdere la battaglia quotidiana, senza aver mai smesso di combattere. “ Healin’ Howl” è un viaggio nel blues urbano di Brooklyn, dove Mingus vive, vissuto da un quarantenne che ha visto molte, troppe ingiustizie, sulla scia lunga di quelle perpetuate sul padre.
Attrezzatosi con un manipolo di musicisti di altissimo livello - dall’organista Bruce Katz, visto lo scorso luglio 2007 a Pistoia Blues con Gregg Allman, il chitarrista/sperimentatore/novello bluesman Elliott Sharp e, soprattutto, dal poli strumentista e co produttore Ross Bonadonna, Mingus ha realizzato il suo più completo ed accorato disco.
La eco di Lou Reed (“The Fade” un Rythm & Blues saturo e deviato), del blues bianco anni sessanta ( in “ To Keep You Off My Mind” potrebbe essere uscito da uno dei primi dischi Vanguard di John Hammond jr) “ Healin’ Howl” ha il suono di tutto un movimento trasversale newyorchese che dai tardi anni settanta non ha mai molato la presa, Mingus ci pare uno degli ultimi scapigliati, sinceri, lucidi visionari di quell’epoca beatnicks che il jazz del padre così bene suggellò in musica.

Ernesto de Pascale

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