Nata nel 1956 come costola della Deutsche Grammophone tedesca con la finalità di esplorare una propria identità il marchio Polydor rappresentò una realtà inusuale sul panorama discografico inglese dove crebbe e si sviluppò. Dalle melodie avvolgenti dell’orchestra di Bert Kaempfert ai Faust di So Far il passo è lungo ma breve perché quando nel 1966 il manager australiano Robert Stigwood propose all’etichetta, che fino a quel giorno si era fatta notare solo per un singolo del cantante espatriato Tony Sheridan con i Beatles, una joint venture per dare alle stampe i suoi artisti la risposta non poteva che essere positiva. Il motivo ? Basta leggere i nomi del roster di Stigwood: il gruppo che aveva appena firmato si chiamava Cream,mentre aveva contemporaneamente acquisito il quartetto The Who come agente. Non di meno, per fortificarsi, Stigwood aveva compiuto una mossa di gran lungimiranza; offrendo all’amico Chandler la distribuzione del suo primo protetto, l’americano jimi Hendrix e spazio per la sua ex band, The ( new) Animals di Eric Burdon, l’australiano si era assicurato senza aver speso una sola lira altri due clienti e un posto al sole.
La Polydor si gettò a corpo morto nella atmosfera frizzante della Londra 1967 e nei mesi che seguirono Sgt Pepper’s Lonely Heart Club Band firmò il firmabile : The Crazy World of Arthur Brown che esplosero con Fire, Thunderclap Newman prodotto da Pete Townshend, gli appena nati Fairport Convention. Più di altre etichette che proliferavano per raccogliere i suoni dell’underground ( Deram in casa Decca, Island ) Polydor intuì sin da subito che il segreto per una etichetta per non restare incastrati nelle maglie e nelle logiche dei gruppi e delle loro elucubrazioni era firmare rapporti con managers autorevoli come già era successo - fortuitamente - per le prime pubblicazioni desiderosi di avere, a loro volta un proprio marchio. Il rapporto che dette spessore alla Polydor solidificandola su un mercato in veloce cambiamento fu quello con Giorgio Gomelsky e la sua appena nata Marmalade. Gomelsky (vedi mia intervista JAM …), lasciatosi alle spalle l’esperienza con gli Yardbirds passati intanto nelle mani di Simon Napieri Bell, era un uomo di grande intuito e cognizioni; non a caso la Polydor si trovò in breve tempo in casa artisti quali Julie Driscoll con Brian Auger & the Trinity, Blossom Toes, Ollie Patterson, John McLaughlin, Gary Farr, Gordon Jackson e persino il jazzista Chris Barber a dimostrazione di un gusto eclettico che da sempre caratterizza Gomelsky. Fu una partnership gloriosa ma di breve durata, interrotta bruscamente il 31 dicembre1969 quando il manager di origine russe decise di lasciare la Gran Bretagna, forse a causa di una disputa proprio con i vertici Polydor ( Giorgio smentisce a questo recensore) lasciando alcuni dei suoi artisti all’oscuro degli eventi.
La Polydor però, conscia del suo ruolo di etichetta e non solo di azienda che fornisce servizi, aveva continuato la propri politica espansionistica firmando altri nomi nuovi quali Van Der Graaf Generator, gli irlandesi Taste di Rory Gallagher, Creation, Secondhand, Soft Machine e acquisendo dall’America nel 1969 il catalogo MGM che a sua volta si era portato appresso tutto lo storico catalogo verve e la nuova onda su Verve Vorecast ( Frank Zappa, Tim Hardin, Steeve Noonan, Nico ) e la King di James Brown.
Gli eventi - perfettamente riportati con dovizia di particolari e snellezza da Mark Powell nell’esaustivo booklet del cofanetto triplo - furono precursori dell’onda progressiva della Polydor, quella che vide l’etichetta, inglese a tutti gli effetti oramai, firmare eroi come Jack Bruce, favoriti dell’underground come Pink Fairies, distribuire la Dandelion del dj John Peel. L’ acquisizione dei giovani e talentuosissimi Supersister, avrebbe fruttato all’etichetta solo fortuna con l’acquisizione di altre band olandesi come i Focus pronti al successo con Hocus Pocus, i Golden Earring con Radar Love o a raccogliere il seme della sperimentazione con i tedeschi Faust.
L’epoca d’oro della Polydor si sarebbe chiusa più o meno formalmente con l’acquisizione della Barclay James Harvest, l’ultima band prog di grande successo nei settanta, la chiusura del rapporto con il marchio Track e la firma di un contratto diretto fra gli Who e il marchio stesso. Il Punk era però alle porte e altre fusioni in vista. Eventi che avrebbero portato alla Polydor altro successo ma che avrebbero fatto perdere all’etichetta quello Spirit of Joy che questo prezioso cofanetto riporta alla luce con tutti i nomi qui citati e altro ancora, affezionato tributo a un era dell’eclettismo andata definitivamente perduta.
Ambrosiano Ambrosini
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