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INTERVIEW
Intervista a Klaus Voorman
Ad ascoltare Klaus Voorman vien proprio da pensare che Some Guys Have All The Luck, come dice la canzone. Testimone oculare e co protagonista di tanti momenti topici della storia del rock, il pittore, grafico, bassista - soprattutto - GrammYAward per la seminale copertina di Revolver e, come si definisce lui stesso, “Vice bassista di Paul mc Cartney”, pubblica ogi un album che racconta in musica l’epoca D’Ooro del Rock & roll, The Glden Age Of Rock & Roll, come giustamente lui stesso la chiama. Raggiunto telefonicamente nella sua abitazione nella forseta a due passi da Monaco di Baviera, così ci racconta l’avventura.
“Il merito è tutto di mia moglie che per i miei settant’anni mi suggerì di andare a ritorvare tutti i miei amici in giro per il mondo e tornare almeno una volta a fare musica con loro, filmando e fermando su nastro ogni incontro. Il progetto si risolse in una specie di immenso deja vù per molti di noi, ma anche in un gran rompicapo per lei che doveva cercare di riunire nomi del calibro di Ringo Starr e Joe Walsh, Paul McCartney e Cat Stevens. Tutti hanno risposto positivamente all’invito anche quelli, come Randy Newman (uno degli assenti eccellenti come li chiama Voorman), che erano impossibilitati a incontrarmi perché chissà dove. ”Parliamo con passione del disco e del suo amore per il rock & roll che si travasa in versioni contemporanee di brani come Only Sixteen, vecchio hit di Ringo o come nel rockabilly al fulmicotone che apre la raccolta. “Ringo non voleva cantare per nessun motivo. Diceva che avrebbe dato l’idea del dirty old man e io gli ho risposto che lo era e a quel punto tutte i dubbi sono scomparsi.” E’ però il brano di Fats Domind - suonato in trio con Paul e ringo - il vero punto di forza del cd “ Ho visto suonare Paul per la prima volta nel 1960 e in pochi mesi ci ritrovammo in due band diverse ad Amburgo dove non c’era molto da fare se non diventare amici, bere, fumare e cercare donne. Da allora in poi non ci siamo mai persi di vista, questo sicuramente lo sapete bene, ma forse non sapete che fra noi resta in vigore un tacito accordo di mutuo sostegno. Ricordo che una delle prime volte che ci frequentavamo, una notte, proprio ad Amburgo, mi mise a tracolla un basso elettrico e mi disse “ Suona, con questo strumento troverai sempre lavoro”. Io ero chitarrista in un’altra formazione che cercavo fortuna nel porto tedesco ed ero reduce da qualche dissapore. Restai fulminato dalle sue parole e da quel giorno non lascia più il quattro corde!”. Viene spontaneo chiedere però a Klaus se quella session in trio potrebbe lasciar la porta aperta a qualcos’altro, qualcosa che allo stato attuale dei presenti, potrebbe essere la cosa più vicina ai Beatles. “Hey man - mi fa- io sono sempre pronto. Il mio basso dopo tutto me lo ha regalato proprio George, durante le session di All Things Must Pass…”. A proposito di quella storica registrazione viene naturale parlare di Phil Spector, da poco incarcerato a vita per l’omicidio di Lana Clarkson. “Ernesto, io ho solo belle parole per Phil se questo è quello che vuoi sapere. Durante le registrazioni sapeva guidare le cose ed era sempre pieno di humor, ma sapeva cambiare, questo sì. Con Allen Klein e il cerchio più ristretto di ebrei newyorchesi che frequentava con orgoglio era davvero una persona diversa, non chiedermi se migliore o peggiore, ma diversa. Lo avevo conosciuto molto prima però, durante le session di River Deep, Mountain High per Ike e Tina Turner, sedute a cui ero presente e fu lì che realizzai che era un genio. Suonò al duo la canzone con la chitarra acustica, nel silenzio generale, con un incidere lento e pieno di pathos e chiese alla Turner di “…retain the pathos..:” e lasciare tutto il resto a lui per poi far ascoltare a Ike e Tina la base che aveva già registrato SOLO con l’orchestra (poi il brano sarebbe stato risuonato tutto in diretta con la voce dal vivo!). Restammo tutti di sasso. Aveva dato un tono epico a un brano acustico agrodolce tramutandolo in una specie di urlo per due neri alla ricerca della riscossa. Incredibile!”
Sempre durante le session di All Things Must Pass si cementa per Voorman un’altra amicizia che porterà dritto fino all’album appena pubblicato, quella con Bonnie Bramlett. “Bonnie è una delle più grandi cantanti di soul bianco ancora esistenti - mi dice - e non ha rivali e ha una figlia non meno brava di lei, Bekka. Più volte ai tempi di Delaney & Bonnie ho dovuto dividere i due perché Delaney era un uomo purtroppo molto aggressivo e fra i due erano continui litigi. Era una coppia che non poteva resistere insieme a lungo ma quel poco che sono riusciti a fermare musicalmente su disco è straordinario per non parlare delle loro performance. Avevano qualcosa di speciale, Il tour inglese Delaney & Bonnie & friends fu uno dei giri più divertenti a cui io abbia mai partecipato. Mi pareva il minimo che Bonnie avesse un ruolo importante nel mio album. Peccato che i due non si siano mai più parlati dalla separazione della coppia!”
Il discorso poi passa da amici in comune (dr John) ad icone del pop che impreziosiscono l’album, come la slide di Joe Walsh.
“Ti racconto questa, Ernesto. Quando andai a trovare Joe a casa sua, nel giro di estività di cui ti parlavo, poco ci mancava che mi prendesse un colpo. Vedo infatti esposta nella sua living room in bella mostra la MIA artwork originale di Revolver. Per anni avevo dato la caccia al lavoro originale che - ancora ricordo bene - aver consegnato con le mie mani al litografo e di cui avevo perso ogni informazione, tenuto conto che alla EMI non ne sapevano nulla ( la EMI detiene l’artwork originale di Sgt Pepper che non ha mai voluto restituire a Peter Blake per un cavillo giuridico e lo stesso dicasi per TUTTE le più importanti delle copertine di quella etichetta ndr). Joe non mi ha voluto dire niente ma io ho colto la palla al balzo e gli ho detto “ Mi devi qualcosa” e lui veloce “ Andiamo in studio, penso a tutto io “, così è nato Short People. Bene, questo è stata l’unica forma di pagamento che io ho mai avuto per quel lavoro, peraltro premiato con un Grammy!”
Prima di salutarci torniamo ai Beatles per commentare l’incontro che questo intervistatore aveva avuto solo due settimane prima con Sir George Martin. “ Abbiamo tutti imparato da lu. Negli anni sessanta il termine produzione è stato inventato da George e Phil e i quattro Beatles ascoltavo Martin come dei bambini, ti assicuro che pendevano dalle sue labbra pur essendo sempre opinionati e pieni di proposte. George fu però sempre bravo a cogliere al volo le loro intuizione e ad assecondarli dove capiva che c’era una soluzione diversa dalle solite.”
Ci salutiamo così amichevolmente con Klaus Voorman che vuole sfatare un ultimo mito. “ Se qualcuno vuole un mio lavoro mi contatti tramite internet, oppure una mia mostra. Non ho un gallerista, non ho un agente se non mia moglie e mi piace lavorare per i giovani. Sono un uomo libero, e me ne vanto.”
Ernesto de Pascale
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