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INTERVIEW

Intervista con Ray Davies


Ray Davies ha l’allergia da fieno. Segno che la primavera, oggi, terzo giorno d’estate in Italia, è arrivata anche là. Reduce da un concerto la sera prima e diretto in altra località è nella sua casa del Nord di Londra per riposare; un riposo però breve visto che oggi sarà interrotto da una lunga serie di telefonate organizzate con la stampa internazionale per raccontare The Kinks Choral Collection, un nuovo album a nome proprio realizzato con The Crouch End Festival Chorus, in cui l’artista di Muswell Hill rispolvera 15 canzoni dal repertorio dei “suoi” Kinks riproponendole assieme a una corale, riportando perciò all’attenzione generale una antica tradizione vocale che si è sempre intersecata poco con il pop ma, in quelle rare occasioni, dando vita a curiosi e interessanti mix.
La storia ce la racconta proprio il 65enne icona del pop inglese:
“Tutto partì con l’invito al programma tv della BBC, Electric Promenade nel 2007. L’idea del produttore televisivo si risolse in una di quelle buone e oserei dire geniali colpi di fulmine: farmi re incidere i brani dei Kinks con un corale. Accadde allora che nella strada dove abbiamo il nostro studio - Konk
( lo studio della società di Davies ) - scoprimmo un giorno che provava da anni un corale, un corale vero - esclama - e che noi dello studio neanche lo sapevamo fino a quel giorno. Sembrava un segno del destino, non dovevo neanche attraversare il mio quartiere per parlare con loro. Fu cosi che misi in praticai quello che avevo imparato all’epoca delle scuole elementari quando cantavo proprio in un corale, nel mio quartiere di Muswell Hill. Mi incontrai con il maestro del coro e proposi loro un progetto di interpretazione delle mie canzoni; con il computer mostrai loro le tracce dei miei provini, come avevo concepito il progetto e loro si dimostrarono entusiasti. “.
Continua Davies che proprio in questi giorni sta per rimettere in scena il suo musical “Come Dancing” dopo il debutto londinese dell’autunno scorso.
“Lo spettacolo televisivo ci dette una grande energia (siamo sempre nel 2007 ndr). La mia casa discografica mi spinse a portare avanti questo progetto e fermarlo, cosa oggi ormai rara. Ci abbiamo messo due anni ma abbiamo scoperto - io per primo - cose che non sapevo delle mie stesse canzoni e l’uso del coro ha aumentato la tessitura della scrittura originale che gli intrecci del gruppo avevano in qualche modo perso. E’ stato bellissimo studiare le vette armoniche che certe canzoni - indubbiamente scritte su semplici giri di accordi - potevano raggiungere.”
Una delle prime cose che vengono a galla scorrendo i 15 brani del cd è che dal celebratissimo Vilage Green Preservation Society i brani scelti sono ben sei, dando così a quell’album un senso ultieriore.
“Quel disco ( pubblicato originariamente nel 1968 ) si avvalse dell’utilizzo di un ampio coro e le coincidenze hanno aiutato il progetto - ci dice Ray. Mentre in un ufficio della Universal discutevamo di questo album, in un altro programmavano l’uscita in versione de luxe di quel disco più o meno per lo stesso periodo. Mi venne facile andare i riascoltare certe canzoni e riflettei che volevo tornare a quei sentimenti, a quella visione, a una ricerca onesta di una Inghilterra semplice che non c’è più come non c’era già più 40 anni fa ma con altre istanze.” E aggiunge: “Voglio essere ancora più chiaro : desidero andare sempre avanti con la musica ma le canzoni che ho scritto in tanti anni rappresentano oramai un eredità per la società inglese e non perché lo penso io ma perché questa è la percezione comune di qualcosa che oramai appartiene un po’ meno a me e un po’ di più al mondo intorno. Quindi per questo disco ho voluto incidere alcuni classici - quelli che tutti si aspettano da Ray Davies ( Waterloo Sunset, You really Got Me, All Day And All Night ) ma poi ho voluto fare degli “esperimenti” come in Celluloid Heroes ( da Everybody ‘s in Shos-biz ) oppure Picture Book ( Davies cita - non a caso - due degli “esperimenti” meglio riusciti della raccolta ) e ti assicuro che a registrazioni finite più volte mi sono detto “wow… this is amazing!”.”.
Partendo da ciò che Davie mi aveva appena detto, gli rivolgo quindi una domanda appena più sibillina: quante volte le è accaduto di pensare una canzone per un proprio progetto solista e poi scoprire che quella è più giusta per The Kinks (tutto l’album Village Green Preservation Society è un esempio di questa dicotomia, nato come album solista divenne lungo il percorso inscindibile dal progetto Kinks)?
“Spesso! -esclama sicuro. Per me è molto più facile scrivere per il gruppo che per me. Con la band scrivi e lasci che il gruppo si allenti dalle tensioni e si sciolga nel pezzo. Gli artisti solisti in generale (incluso me) sono persone diverse per cui quel che componi deve essere definitivamente finito, completo. Quel che scrivi poi lo incidi, non hai la variabile del gruppo che può portarti - magari ! - una idea straordinaria, neanche con un produttore esterno o con un arrangiatore. Se solo con la canzone.”
E ora? gli domando dritto. “Adesso il progetto è di portare questo corale di 65 voci in giro in tour ma intanto io sto collaborando a un nuovo progetto in qualità di autore, ne parleremo nel 2010. “ E lì molla il colpo. Per poi terminare così: “Intanto continuo il mio tour solista, una specie di never ending tour rigenerato dall’entusiasmo delle persone, la sensazione di dare al pubblico qualcosa di senza tempo, di immortale. Ogni volta dico di smettere e poi continuo perché ogni sera trovo qualcosa che non ho catturato nel passato, come se i i dischi mi fossero scorsi davanti troppo velocemente e suonarli ogni sera è per me un po’ riconquistarmeli e gustarmeli e condividerli con gli amici, città dopo città.”

Ernesto de Pascale

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