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Da “Outside Out” a “Inside In” ma sempre fuori

Mike Gordon, “Inside In”
(Ropeadope / Rykodisc)


L’album del debutto da solista di Mike Gordon, bassista e membro fondatore dei Phish, è arrivato alle stampe dopo quattro anni di lavoro. Ma le origini del progetto risalgono ai quattro anni precedenti, spesi nella realizzazione di “Outside Out”, primo lungometraggio di Gordon, che affianca all’attività di musicista quella di cineasta ( realizzando fra i vari “Rising Low”, documentario sulla realizzazione di “The deep end, vol.1” dei Gov’t Mule”). Oltre alla realizzazione del film, Gordon ha scritto per “Outside Out” le musiche originali. Dalla rielaborazione della colonna sonora, principalmente strumentale, per la quale Gordon ha successivamente scritto i testi, nasce “Inside In”, album particolare e fuori dagli schemi. Si comincia con una troppo lunga sezione introduttiva, costituita da “Take me out” ( che torna poi con variazioni a chiudere l’album) e due brani strumentali, con atmosfera tecnologica e surreale. La strana disposizione dei brani lascia poi spazio alla bella sezione centrale, più coincisa ed efficace della precedente, dove i pezzi e l’album acquistano una struttura più stabile e la scrittura è più intensa. L’utilizzo di effetti e la sonorità psichedelica fra eco e false scordature rimangono a caratterizzare l’album anche dove i brani si fanno più tradizionali, come su “The teacher” e “Coach Lady”. La sezione ritmica gioca un ruolo importante, specialmente su brani come “Outside Out”, dove c’è modo di sviluppare il groove. “Soul food man” è il brano che fa guadagnare all’album buoni punti in più. Dare al disco una qualche quadratura formale? Impossibile, in mezzo succede di tutto, e del resto l’imprevedibilità è una caratteristica con la quale i Phish da sempre si sono fatti ben volere. L’effetto confusionale, caratteristica dominante, è sostenuto da testi sospesi fra dubbi esistenziali e fughe verso nessun luogo, toccando il massimo nelle melodie ossessive di “Steel Bones”e della coda del disco. Pur mantenendo il legame concettuale con la trama del film, Gordon avrebbe voluto rendere il disco un’entità del tutto indipendente. In realtà l’album è più facilmente comprensibile nelle sue particolarità considerando che forse è così perché deriva da altro. O forse il casco da astronauta in copertina sta a dire che va tutto bene: è solo un disco da un altro pianeta.

Giulia Nuti

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