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SLAM !



Elisabetta Beneforti intervista Lello Voce, poeta scrittore e performer.
Ha pubblicato sei libri di poesie prodotti con cd audio, gli ultimi fra i quali sono “Farfalle da combattimento” (Bompiani), “L’esercizio della lingua” (Mazzoli editore), “Fast blood” (Sossella editore, 2004+cd audio con musiche di Frank Nemola, con PaoloFresu, Michael Gross, Luca Sanzò, Luigi Cinque).”Fast blood” ha vinto nel 2003 il premio di poesia ‘Antonio Delfini’. Ha partecipato a numerosi Festival Internazionali di Poesia in Italia e all’estero e al momento è uno dei direttori artistici del Festival Internazionale di poesia di Roma. Ha importato in Italia il “poetryslam” ed è il più famoso EmCee italiano. Pubblica una colonna settimanale – TAZ – sulla pagina letteraria dell’ “Unità” e affianca alla sua attività letteraria l’impegno di attivista no-global.

www.lellovoce.it


EB Cominciamo dal tuo ultimo lavoro di spokenword: “Fast blood”…come è nato?

LV E’ l’ultima tappa di un viaggio che dura da più di un decennio e che è un percorso della poesia detta ad alta voce. La poesia per me è stata sempre detta ad alta voce. “Fast blood” è all’altezza di “Farfalle da combattimento”, libro uscito per Bompiani quattro anni fa e all’interno del quale la parola poetica aveva già incontrato la musica di Paolo Fresu e Frank Nemola. “Fast blood” è il momento della decisione di far poesia solo d’ascolto, poesia da disco che esce completamente dal libro.

EB …è un disco comunque di parole molto importanti che vanno al di là dell’emozione, un sentimento – come dici tu nello scritto alla fine del booklet – un sentimento ma non sentimentale… Infatti cosa raccontano i testi d “Fast blood”?


LV “Fast blood” è un viaggio nel nostro presente più o meno dall’inizio del 2000 dove si era interrotto i miei lavori precedenti “Ratto di fine secolo e millennio” e “Farfalle da combattimento”. Così “Fast blood” passa da Genova e dalle Twin towers per tentare di pensare alla tragedia in cui tutti ci troviamo da un po’ di tempo, diciamo che racconta questa svolta di inizio millennio, brusca e per molti versi brutale, in cui è accaduto quello che alcuni di noi avevano detto tanto tempo fa, cioè che non era vero che la storia fosse finita. E’ proprio così che tutto è in movimento frenetico.

EB Dunque la poesia di “Fast blood” è poesia civile…


LV Sì, indubbiamente e lo dico con una grande soddisfazione. Ho deciso di fare poesia fra l’89 e il ‘90 , prendendomi la mia meritata dose di sberleffi e pernacchie nel momento in cui si diceva che la politica era morta, che tutto andava benissimo, che il futuro era roseo. Per questo si affermava che il poeta avrebbe fatto bene a tornare a parlare di sentimenti visto che non c’era più bisogno di impegno, oppure di guardare al reale che era trasparente e non contraddittorio. Oggi siamo addirittura in troppi a fare letteratura civile, ma io preferisco essere in troppi piuttosto che da solo. Detto questo, dico sempre con molto orgoglio che la mia è anche poesia civile, come è pure poesia d’amore. Nei miei testi ci sono anche le mie storie private, ci sono i sentimenti del tempo non sentimentali, i dolori e le rabbie. La poesia non è scienza, parla di tante cose, dell’interiorità, di noi tutti, del tentativo che facciamo di comprendere ogni giorno la realtà. Perciò la poesia non deve essere mai un comizio. I pezzi di “Fast blood” non sono un comizio, sono una riflessione a partire dalla nostra interiorità, su ciò che vediamo accadere fuori dalla nostra finestra. L’aspetto più politico di questo disco e in generale di tutto quello che faccio è la scelta formale, è il linguaggio. La poesia è un’arte, la prima scelta politica è quella del linguaggio che usi, del coraggio che hai di inventare nuove lingue nuove per sognare nuovi sogni.


EB Dato che il linguaggio è importantissimo, soprattutto quello della poesia, da dove lo attingi? Quali sono le scelte che ti guidano?


LV Ci sono delle radici, ci sono dei maestri perché nessuno inventa nulla e tutti scriviamo lo stesso libro ognuno aggiornando quello che hanno fatto gli altri. Le mie radici per quanto riguarda la lingua sono abbastanza varie. Devo molto a poeti differenti fra loro come Fortini, Sanguineti, Balestrini, Pagliarani e Zanzotto. Diciamo la grande stagione della poesia degli anni ’60 per quanto riguarda la testualità. Per quanto riguarda invece la scelta dei media dovrei parlare di nomi meno conosciuti ma per me fondamentali come Patrizia Vicinelli, Corrado Costa e Adriano Spatola, vale a dire la poesia fatta sul palco, la poesia fatta ad alta voce.Se poi dovessi individuare da dove viene il mio accento, cioè il gusto anche di utilizzare le citazioni, il gusto di confrontarmi con la storia della mia lingua, queste sono influenze che vengono da lontano…vengono dal brasile da un poeta che si chiamava Aroldo de Campo che ho avuto il privilegio di conoscere, di cui ho avuto il privilegio di essere amico. Secondo me De Campo è uno dei nomi più importanti del secondo novecento internazionale : faceva la bossa nova con Caetano Veloso e recitava le sue poesie sul palco insieme ai musicisti..ecco, questa è stata per me l’impronta, è stato lì che ho capito che la poesia poteva essere tutte queste cose insieme senza perdere raffinatezza filologica, capacità di conoscenza storica, abilità nella costruzione del verso.Poteva essere tutto questo e poi poteva esserci la capacità di essere dei buoni comunicatori, di riuscire a trovare dei media che potevano avere un target più ampio, che si poteva accettare la sfida della contemporaneità, quindi confrontarsi con la video arte, con la musica.Questo in Italia è assai meno sviluppato.


EB …o comunque diciamo che è un percorso che è cominciato solo negli ultimi anni…


LV Vedo che esiste oramai un’onda che si sta movendo e che sta tirando la poesia fuori dai libri.La poesia non ha niente a che fare con la letteratura, la poesia ha a che fare con le arti del discorso, è nata a alta voce e tornerà a parlare a alta voce.La stampa c’è e continuerà ad avere una sua funzione, i media non si escludono l’uno con l’altro…. Fare un disco di poesia non significa dire che i libri di poesia non servono più a nulla, ma che si faranno sempre più dischi di poesia.

EB Questo discorso ci porta a parlare del “poetryslam”, un altro importante elemento del tuo percorso….


LV Lo Slam è qualcosa che sta infastidendo tantissimi e che allo stesso tempo sta tirando fuori le energie nuove della poesia italiana…. Sono soddisfatto di questo risultato, perché abbiamo fatto un brutto scherzo all’accademia….in un’Italia in cui non è più possibile da tempo pubblicare libri di poesia, men che mai per i giovani, il “poetryslam” è un’occasione nella quale tanti poeti nuovi possono mettersi alla prova, possono incontrare un pubblico, possono provare a comunicare quello che scrivono e questo secondo me è importante, è vivo….al “poetryslam” si trovano molte più persone di quelle che di solito si trovano ad una normale lettura di poesie.


EB Forse anche perché il pubblico da anni è stanco di ascoltare la poesia letta o vissuta in modo accademico. I “poetryslam” serve proprio a tirare fuori le energie, a porre la poesia in un modo differente fra il poeta e il suo pubblico…


LV Sai, il pubblico della poesia, come dice Balestrini, è un pubblico terribilmente beneducato, troppo beneducato. Si va spesso alle letture di poesia come se fosse un dovere…Montale diceva addirittura di non andarci mai e da un certo punto di vista aveva ragione lui. Il rapporto tra il pubblico e poeta è assolutamente cristallizzato nei modi tradizionali. Io ho sentito il pubblico applaudire qualsiasi cosa…il bello del “poetryslam”, della gara, è che può non farlo. Il bello del “poetryslam” è che il pubblico interviene, dopo la lettura il pubblico se ha voglia di fischiare fischia, se ha voglia di contestare contesta, se ha voglia di applaudire lo fa ma lo fa con immediatezza con forza con energia. Ed è alla fine un gioco, perché è una gara in cui il poeta vincitore viene deciso da una giuria di cinque persone scelte a caso fra il pubblico…..il poeta che vince porta a casa dei soldi che è qualcosa di abbastanza insolito all’interno dell’immagine tradizionale del poeta che sembra non debba vivere,non debba pagare affitto e bollette, debba solo essere ispirato e poi qualcuno penserà a lui.E’ un gioco strano, però, io spesso durante gli slam mi chiedo che gioco sia…il pubblico certo non sta giocando a fare il pubblico, il pubblico degli slam è un pubblico vero, altro che un gruppo di lettori. Il pubblico della poesia è quello che sta tutto insieme in quel momento a vedere la stessa cosa, il pubblico dei lettori è invece un insieme di singolarità disperse… allora il gioco qual è? Stiamo giocando a fare semplicemente una gara? No, stiamo giocando a fare qualcosa di più, a fare una comunità, e da questo punto di vista è un gioco importante, perché si mette d nuovo in proscenio un’altra delle parole proibite del nostro presente che è appunto far comunità. Il poeta esiste perché esiste una comunità nella quale si identifica e che in qualche misura contribuisce a sua volta a fare identificare. E’ secondo me un meccanismo sano, un meccanismo importante che ridà un senso anche alla funzione che il poeta svolge in quel momento su quel palco. E’ un’operazione da parte dei poeti di grandissima umiltà…. A uno slam in realtà può vincere chiunque, dipende dall’energia che ci mette, dalla capacità,dall’intelligenza che ha nello scegliere il testo, dalla giuria che lo deve giudicare, quindi davvero è un salto nel buio e senza rete. Lo slam è anche la dimostrazione che la poesia non è affatto qualcosa di noioso…..non si capisce perché le cose importanti debbano essere noiose, non si capisce perché la poesia debba essere noiosa. Può esserlo come anche non esserlo grazie alla capacità del poeta nel comunicarla quando fa lo “spokenword” al suo pubblico…può non esserlo grazie a dei meccanismi semplici ma efficaci come quelli della gara di poesia , del “poetryslam”. Naturalmente un approccio di questo tipo piace poco a chi è abituato a vivere la poesia come una sorta di dominio feudale…….


EB Per concludere questo percorso torniamo al nostro punto di partenza “Fast blood”, in cui figurano grandi musicisti come Fresu, Gross e Nemola
…. Che musica c’è dentro la tua poesia?



LV Proprio quella che si ascolta in “Fast Blood’’. Il meccanismo per fare un prodotto del genere è abbastanza singolare. Prima di tutto registriamo la voce senza musica e stabiliamo con Frank Semola i tempi metronomici della mia lettura. Poi sulla base del mio ritmo, quindi della musica dei versi ,costruiamo tutti i tessuti elettronici che si ascoltano sotto. Solo in seguito arrivano le melodie della tromba, del sassofono, della viola….. quindi dentro c’è la musica della poesia, quella non è poesia su musica. Quello che si ascolta non è solo la mia poesia ma è l’impasto di poesia su musica. “Fast blood” è stato creato perché chi lo ascolta dia la stessa attenzione alla parola e alla musica….poesia e musica sono state create insieme, costruite sugli stessi ritmi, sugli stessi respiri, sulle stesse equazioni matematiche. La musica qui non è il sottofondo per la poesia, la musica fa parte integrante della poesia.


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