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Paul McCartney - Chaos And Creation In The Backyard

Paul McCartney - Chaos And Creation In The Backyard
(Emi/Parlophone)

Paul McCartney - Chaos And Creation In The Backyard

“La vita ricomincia…”


Da quando Paul si è messo da solo (1970) questa è la terza volta che incide un album praticamente suonando tutti gli strumenti. Tre momenti di una vita artistica in cui si è trovato di fronte ad un bivio: prima la separazione dei Beatles, poi un periodo in cui sciolti i Wings la sua creatività cercava la strada e ora, anno 2005, dopo tante cose accadute: Linda,la sua prima moglie, non c’è più e neanche George. Due prove tremende per chiunque (e che tanti vivono nel corso del tempo), perdere la donna che si ama e un amico con cui si è vissuta una parte della propria vita in maniera…speciale. Poi i figli prendono la loro strada e la casa si svuota, a meno che…a meno che non si sia abbastanza consapevoli e forti per essere disponibili a nuovi incontri nonostante gli addii vissuti. Penso, in estrema sintesi, che questo sia il percorso “umano” dietro il nuovo disco di Paul Mc Cartney “Chaos and creation in the backyard”. Tredici canzoni più una “ghost track” strumentale assai vicina a certe cose di “Pet sounds” dei Beach Boys il che ci fa capire quanto siano importanti nella musica e nella vita le amicizie giuste (ricordo incidentalmente che Paul Mc Cartney e Brian Wilson sono tra i più grandi bassisti della storia del Rock e soprattutto grandi amici).

È indubbiamente uno degli album più personali di sempre per l’ex beatle e uno dei più belli della sua carriera di solista. Per quel che concerne “la musica” ci troviamo ad ascoltare una serie di canzoni per la pima volta non sorvegliate da George Martin che però,da buon vecchio, ha dato un consiglio e fatto un nome: Nigel Godrich. Il ragazzo non è certo uno sconosciuto (ha prodotto, tra gli altri, Pavement e Radiohead) anche se al primo incontro con Sir Paul gli tremavano le gambe. Eppure, ascoltati i provini, se ne è uscito con una proposta che poteva sembrare quantomeno bizzarra -“Paul, perché non te lo suoni da solo questo disco?”- che come tutte le proposte che paiono assurde celava una grossa parte di verità. Liquidata, per il momento, la band i due si sono chiusi agli Ocean Way di Los Angeles e hanno cominciato a lavorare. Innanzitutto la scelta degli strumenti, gli arrangiamenti e tutto il resto. E’ un album che sembra semplice, non poche cose e perfette, su tutte il vecchio basso Hofner a violino che produce ancora il suo inconfondibile suono, stessa cosa per le chitarre Epiphone acustiche ed elettriche sormontate dal Bosendorfer Grand Piano, gli archi incisi agli Air Studios di Londra poi percussioni, batteria, fiati.
La canzone di apertura, “Fine Line”, destinata a trainare l’album, vede Paul alle prese con accordi che già i Beatles avevano messo insieme ma il tutto è profondamente Macca. Ottima come antipasto, con un testo che invita a considerare bene le scelte che poi influenzeranno la vita e anche ad avere il coraggio di tornare indietro. Una delle canzoni più belle è a parer mio “How kind of you” che come tutti i brani del disco nasconde dietro una apparente semplicità un tessuto musicale pieno e ben costruito con un testo quasi commovente sulla vicinanza, la partecipazione ai destini di chi ci è vicino, in ogni momento della vita. “Jenny Wren” è “Blackbird” anni 2000. Accordi simili, atmosfera perfetta per il ritratto di donna descritto che rispetto ad “Eleanor Rigby” è quello di una donna più consapevole seppure ammantata di una atmosfera vagamente retrò. Con “At the mercy” Mc Cartney dimostra che mettersi al piano, magari da soli di notte dopo che gli amici sono andati via, porta spesso verso una destinazione. Canticchi un verso, prima solo rumori onomatopeici, poi qualcosa di più e alla fine da quelle parole borbottate in un salotto quasi buio trovi una melodia.
Non sempre si è nello stato d’animo giusto per una festa, pensa un po’ se a dare il party è la tua nuova moglie e te sei malinconico e ti torna nei pensieri un chitarrista a cui volevi bene che è morto come la prima donna che hai amato veramente. Forse “Friends to go” è nata così, in una serata trascorsa in disparte aspettando che gli amici se ne vadano, con George Harrison nella testa che trasmetteva la melodia da chissà dove. Andando avanti nell’ascolto incontriamo un piccolo e romantico tesoro pieno di “inglesitudine” come “English tea” che ci porta dentro grandi giardini con un sorriso, confermato dalla traccia successiva “Too much rain”. “A certain softness” è vero artigianato della musica: sprofondati nella poltrona di un caffè perso in una terra sudamericana degli anni ‘30 incrociamo un soffice sguardo che ci perderà per sempre. Resta solo una canzone a ricordarci che forse avremmo dovuto abbassare gli occhi e, apparentemente concentrati sul nostro drink, far finta di niente… Cosa che non accade ascoltando “Riding to Vanity Fair” senza dubbio la composizione musicalmente più “visuale” dell’album. Il testo parla di amicizia tradita (anche i cani di razza a volte combattono con le zecche) e la musica evoca il rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto essere.
C’è una sorta di misticismo che avvolge tutto l’album, sembra come se l’assenza di qualsiasi tramite eccetto un ottimo produttore per esprimere i suoni che si hanno dentro ponga il musicista in rapporto con qualcosa che ancora non capiamo e proviamo a farlo affidandoci a “Follow me” che è la nipotina di “Let it be”.
Dopo tutte queste storie forse è venuto il tempo di spazzare via le foglie morte dal cortile. La copertina del disco ci porta a Liverpool tanti anni fa (1962) quando Mike Mc Cartney fotografava il figlio musicista dalla finestra della camera di mamma. Tendine, panni stesi, foglie da raccogliere e un giovane beatle con chitarra che di li a pochi mesi avrebbe conquistato il mondo a canticchiare nel cortile dietro casa. Dopo molto tempo Paul, come tanti, quelle foglie le ha rastrellate e portate da qualche parte, ha trovato il modo di liberarsi del passato continuando ad amarlo ma facendo in modo di poter continuare a vivere, anche innamorandosi di nuovo. Ecco infatti due canzoni d’amore, la prima è la storia di una promessa di vita insieme (“Promise to you girl”) ed è forse l’unico momento in cui sembra esserci una band al completo in sala, la seconda (“This never happened before”) è stata quasi incisa per un matrimonio. Il disco si chiude (non del tutto però, alla fine dell’ultima traccia aspettate ed avrete la sorpresa) con “Anyway” giunta direttamente dal sud degli States via Randy Newman ed è un momento magico per qualsiasi musicista che, come Mc Cartney stesso ha detto, quando suona la musica che gli piace vede la sua anima andare a braccetto coi suoni.
Insomma “Chaos and creation in the backyard” (anche in deluxe edition cd+dvd) è il miglior album che Sir Paul abbia inciso da anni, dai tempi del fortunato “Flowers in the dirt” che lo vedeva grazie ad Elvis Costello riappropriarsi della musica dei Fab Four. E’ anche un disco realizzato da un artigiano come dimostrano l’ascolto, le canzoni, l’atmosfera che le circonda, fino alla copertina e i disegni di Brian Clarke per il booklet che sono tutti incentrati sulle mani. Mani che continueranno a suonare e a vivere.

Alessandro Mannozzi

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