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Speciale estate 2005-UK report
Londra e l’Inghilterra in genere non si dimenticheranno facilmente dell’anno del Signore 2005. Non sarà solo per i tristi eventi che tutti conosciamo ma anche per un altro motivo, ben più positivo: l’aver prodotto la musica migliore e più personale dai tempi del Brit Pop (di cui cade il decennale) ad oggi. Certo, i negozi una volta di dischi, oggi di videogames, gadget, telefonia e, incidentalmente, anche di musica non sono più pieni come una volta ma un’atmosfera ancora frizzante, di rinascita, fende l’aria con le note di nuove band, di nuova voglia di raccontarsi.
L’attitudine giovanile è cambiata, meno in the face, come dicono loro, e si cerca intimità, raccoglimento, emozione, anche in una canzone da classifica. I nuovi complessi si chiamano The Magic Numbers, prepotentemente nelle classifiche con un disco scritto a otto mani da due coppie di fratelli e sorelle, i lennoniani The Stands, da Liverpool, la prossima grande promessa per l’autunno che ha il nome di The Editors, il supergruppo di Brighton, Brakes, i più determinati British Sea Powers mentre i solisti hanno nomi non meno affascinanti: Buxter Dury, figlio di Ian, Richard Hawley, ex Pulp, It’s Jo & Denny, nuovo folk dal Galles. Ognuno di essi vede la musica da una prospettiva diversa ma tutti sono convinti che nell’era della canzone venduta come bonus gadget, non resti che tornare alla introspezione, alle radici, alla ricerca, semplice ma mai scontata, di avere per le mani delle grandi, buone canzoni.
Al celebre Speakers Corner incontro Jesus, da 35 anni metro della pressione musicale della capitale inglese. Celebrato perfino dai Chemichal brothers sulla copertina di “Surrender”, Jesus, una leggenda nel circuito dei festival estivi ancora indossa kaftani pischedelici e non si muove senza un flauto, un tamburello, una maracas. E’ sempre pronto su tua richiesta a discutere della pioggia colorata con chiunque abbia la pazienza di ascoltarlo. Jesus afferma che c’è bisogno di “ nuova pace e serenità”. Le nuove band rappresentano la speranza dell’Inghilterra che pulsa e la scena attuale ha molto più amore e rispetto degli ascoltatori di quanto ne ebbe il Brit Pop, troppo sfrontato per gli ideali del visionario londinese.
Il veterano dello Speakers Corner oserei definirlo il tenutario locale dello stile musicale m’indica un’amena località gallese, Hay, sul fiume Wye, per trovare conferma alle riflessioni di questa mattina d’estate dal cielo perfettamente blu. Ad Hay, 1400 anime, capitale del commercio di libri di seconda mano d’Inghilterra, si tiene, infatti, il festival musicale che ha ricevuto il maggior numero di consensi da The Guardian e The Observer, The Green Man festival, il festival dell’uomo verde, nome preso in prestito da una leggenda correlata al Rè Artù (www.thegreenmanfestival.co.uk). Giunto lì sulle note di “Love me like you” dei The Magic Numbers che intanto è salita in quinta posizione nella classifica della BBC, scopro che nel 2005 si può fare musica di qualità per un pubblico vasto e continuare a parlare sottovoce mentre gli artisti si esibiscono. Ospitato dal resort circostante lo splendido castello di Baskerville, quello del mastino di Conan Doyle, il festival è dedicato al versante acustico della nuova musica e al suo pubblico, composto primariamente da ventenni. Due palchi, una sala da cinema, una ballroom in cui i dj suonano vecchi vinili dei primi anni settanta, beat gallese e folk irlandese progressive, un’ampia area per campeggiare, al The Green Man Festival giungi solo se hai già il biglietto: l’evento è sold out da maggio. Dai parcheggi della cittadina giungi al castello solo con i bus navetta, e la vita sociale della dormiente Hay non risente della festosa animosità giovanile. Artisti e fan si ritrovano nel bel foyer dell’albergo e per una volta l’ufficio stampa non deve sudare le fatidiche sette camicie per concedere interviste. L’evento, al terzo anno, è a cura di un gruppo di lavoro interno della BBC che si fa chiamare The Collective (www.bbc.co.uk/collective). L’organizzatrice on location, Jo, cantante del duo It’s Jo & Denny, è chiara a proposito “in un periodo come il nostro si deve dare ai ragazzi che vogliono cibarsi di musica maggiore sicurezza; chi viene qui è al sicuro. Il nostro festival conclude orgogliosa non è proprietà di nessun marchio di birra!”. Guardando lo splendido panorama circostante di verdi colline degradanti e ruderi antichi e ville padronali non si può darle torto. C’è molto fairplay nell’aria: collaborazioni sul palco, tempi di esibizione limitati (“abbiamo solo 10 minuti di spettacolo dirannno i mancuniani The Earlies ma dopo i primi sette potete andare al bar, l’ultimo pezzo non è un granchè!”), voglia di positività. Alla fine della tre giorni (3000 persone, non una in più) Bob Harris sul The Guardian esclama “ vogliamo augurare tutto il bene possibile a questi ragazzi e al loro festival, sperando che l’augurio non faccia montare loro la testa”. Torno a Londra per scoprire che James Yorkston, rigoroso menestrello moderno e novello Nick Drake visto al festival in una sala da cento persone, è stato ingaggiato dal ben più capiente Shepard Bush Empire per Novembre. E mentre il pubblico più chiassoso corre a Reading per l’ultimo festival della stagione estiva (“una delusione, troppa confusione mi diranno molti tutto in mano alle case discografiche!”) gli Oasis confessano di aver fatto anche loro una capatina a Hay on Wye. Se così è stato non ce ne siamo accorti. Eravamo troppo assorti a guardare avanti con la curiosità di chi vuole vivere nella musica in prima persona le cose che cambiano.
Ernesto de Pascale
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