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The Coal Porters – How dark this earth will Shine
(prima records)
www.prima.co.uk



The Coal Porters sono il progetto bluegrass del super impegnato Sid Griffin, musicista e giornalista affermato trapiantato da anni in Gran Bretagna, terra da cui lancia segnali di vitalità a scadenza costante. Dalla sua bella carriera solista, al lavoro profondo e appassionato su personaggi quali Gram Parsons e Gene Clark, dalla reunion dei Long Ryders agli articoli che propone sulle principali testate musicali, Sid è un uomo instancabile. “How dark this earth shine “ non è il tipico disco di bluegrass, specifichiamo subito”!, perché Sid scrive con in mente il rock, il jingle jangle sound dei suoi adorati Byrds, con il punk dei suoi esordi e il paisley underground – il movimento quasi fantasma – a cui appartennero i Long Ryders nella Los Angeles degli anni ottanta. Ciò che va però aggiunto a questa affermazione e sottolineato forte è che “ How dark this earth will shine “ è però soprattutto il disco di Pat McGarvey, partner produttivo di Sid, bassista, qui banjoista, ottimo compositore, capace di toni intimi e intensi nonostante la giovane età. Ecco allora la ottima “morning song “ e “leaves on the trees “ per distaccare il disco prepotentemente da altre produzioni del genere. Qui, anche se si strizza l’occhio ai Kentucky Colonels del non dimenticato Clarence White – poi chitarrista geniale nei Byrds di “Untitled“, si va oltre con Sid che interpreta “Idiot Wind “ di Dylan e “Teenage Kicks “. Grande disco con qualcosa di moderno e contemporaneo che aleggia dentro il sound pastoso delle voci e degli strumenti tradizionali. Pensato e nato in Gran Bretagna sia i Coal Porters che “ how dark this earth will shine “ riposiziona le lancette indietro ai tempi dei rednecks hippy, degli hillybilly sgangherati di Easy Riders e Zabriski Point e Punto Zero, film dei primi settanta che usavano queste atmosfere per condire l’idea di una America che cambiava ma non abbastanza. Gli stessi film, siamo certi, con cui è cresciuto Sid e che da anni non vedeva l’ora di fare un album così curato. Ci è riuscito e certamente il disco piacerà, chi ama Gene Clark, poi, lo apprezzerà in modo particolare!. Nella soddisfazione generale si termina con una bella versione di “ New Cut Road “ con la voglia di tornare subito da capo, e questo è il miglior segnale per un disco di nicchia che chiede di essere riascoltato per continuare a dare piacere e soddisfazione.
Ernesto de Pascale

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