Ipnotic pastoral acid folk from Manchester
Un grosso sforzo di originalità muove la ricerca di Starless & Bible Black il cui nome è tratto da una novella di Dylan Thomas e non, come molti potrebbero pensare, dal titolo del quinto album in studio dei King Crimson, del 1974.
Musica semi acustica per cuori infranti, un filo di elettronica, reminescenze di casa 4AD e i toni pastorali di Elizabeth Fraser, la presenza di Elizabeth Nancy - anche lei artista della Timbreland Production di Manchester - rendono l’esordio di questo quintetto interessante e curioso, pervaso come è da una matrice fortemente britannica che attraversa tutte le 11 composizioni del disco d’esordio. Se da un lato verrebbe voglia di usare la parola folktronica, dall’altra siamo a un passo da uno strano prog folk, post new age che considera tutte le ipotesi possibili per dare a ogni singolo brano la miglior veste, come nel caso della davvero intensa “Tredog” dal bel ritornello con coro, oppure di “Sirene”, in francese, essenziale,scarna ma attraversata da sottile venature elettroniche.
“The Birley Tree” ci pare la canzone più completa, un brano che sarebbe piaciuto a Tracey Thorn di Everything But The Girl, musicalmente ben congegnato con ipnotismi ad incastro mentre la successiva “ Hermione“ ha un ritmo che rimanda ai primi Velvet Underground. E lì quando, come in “ B.B.” alla produzione si somma una ben dosata sezione fiati che fa da contrappunto a un sinuoso synth, viene da pensare di voler rimettere da capo l’album per una ascolto più approfondito. Ombre e arcane sonorità acustiche affiorano in “The Bitter Cup” un brano ipnotico con un mandolino ritmico e altri plettri a tirare avanti una canzone che si poggia su di un drone elettronico che non scompare mai, con la Gauthier che rimanda a Jacqui mc Shee e alla prima Maddy Prior
L’album d’esordio di Starle & The Bible Black cerca di evitare richiami al passato ma già la voce di Helene Gauthier rimanda alla migliore tradizione del folk di casa Transatlantic o a nomi più noti come Sandy Danny e Annie Briggs mentre la chitarra arpeggiata di Peter Philipson fa la parte del leone attraverso l’intero album. Un tentativo di originalità insomma, e un nome interessante, alla ricerca di un groove pastorale e ipnotico ma ancora un po’ di lavoro da fare per raggiungere la totale indipendenza da un passato ingombrante ed importante..
Ernesto de Pascale
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Track List
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