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Speciale Fat Cat Records Originally born as music store, Fat Cat Records is an important English indie label. In the Fat Cat’s rooter there are great indie band like Mum, Animal Collective, Vetiver, good songwriter like Tom Brosseau, Nina Nastasia and Vashti Bunyan. Since its inception, this label has also grown to incorporate a number of imprints and parallel projects, including the Split Series and the 7" series. In this special we review their last release. La Fat Cat Recors nasce nel 1989 come un negozio di dischi specializzato in musica elettronica e per club. L’essere al centro di Londra, ha fatto si che ben presto diventasse un punto di riferimento per la scena musicale alternativa britannica e nel giro di pochi anni è arrivata anche a guadagnarsi una buona fama internazionale attirando clienti da tutto il mondo. Nel 1996, avviene la svolta e quasi in modo naturale da negozio si trasforma in etichetta discografica e nello stesso anno arrivano sul mercato i primi dischi da loro prodotti. Pian piano il loro rooster si allarga, e arrivano addirittura a lanciare sul mercato gruppi di grande successo nella scena indie rock come le due compagini islandesi Sigur Ros e Mùm. Proprio da questa loro peculiarità nel ricercare sempre nuove formule musicali si desume come il loro obbiettivo, ovvero quello di porre in secondo piano la capitalizzazione economica sulle vendite puntando piuttosto a ritagliarsi una sempre più grande fetta di mercato, cercando di incuriosirla con dischi sempre più interessanti in termini sperimentali. Oltre alla grande cura con cui viene selezionato il materiale da pubblicare, la Fat Cat Records, si contraddistingue nel panorama indie per i sempre eccellenti artwork curati in ogni minimo dettaglio. Già in passato ci siamo occupati di diverse loro pubblicazioni ma in questo speciale abbiamo cercato di concentrare alcune tra le loro ultime novità discografiche, che ricordiamo in Italia sono distribuite da Audioglobe.
After four years of waiting, Bristol post-rockers Crescent comes back with a new album, titled Little Waves. Their little lo-fi songs are made for medative evenings… Sono quattro gli anni trascorsi da By The Roads and The Fields, l’ultimo lavoro dei Crescent, band post rock di Bristol, ormai giunta al quattordicesimo anno di attività. Il loro nuovo album, Little Waves, presegue sulla scia dei precedenti, continuando ad unire una scrittura introspettiva dai toni folkie condita tanto da esperimenti di campionatura e rumorismi quanto da divagazioni nella psichedelia degl’anni sessanta. La voce di Matt Jones, mai come in questo caso appare in tutta la sua forza espressiva e magnetica e si pone come centro gravitazionale attorno al quale ruotano ora trame acustiche, ora passaggi sinfonici ora sinuosi ottoni. Little Waves, all’ascolto si presenta come una deliziosa raccolta di canzoni crepuscolari attraverso cui filtrano emozioni ora inquietanti ora dolcissime come nel caso delle struggenti Cup, Nearly ready e Bifore. Assolutamente da citare è inoltre la splendida Drift, una ballata sinfonica con percussioni sbilenche, che la segnalano come uno dei brani più riusciti del disco. I Crescent, pur non avendo particolari velleità commerciali, hanno nel loro Dna musicale, arte e talento da vendere, e la speranza è che prima o poi il grande pubblico se ne accorga. In fondo i Radiohead erano partiti da territori musicali non molto lontani da questi, e certamente con minor inventiva e sperimentalismo. 1 Little Waves
Exactly two years after the eponymous debut album, Songs Of Green Pheasant, comes back with their third release, titled Gyllyng Street. Their songs are the perfect soundtrack for cloudy evenings that will be in the next month. La storia dei Songs Of Green Pheasant, è quella di Duncan Sumpner, insegnante e cantautore di Sheffield che per caso nel 2002 si trovò a spedire un suo demo alla Fat Cat Records, ottenendo in brevissimo tempo il loro totale interesse per le sue canzoni. Da allora Sumpner ha inciso già due album, tra cui l’apprezzatissimo disco omonimo Songs Of Green Pheasant di due anni fa, e ora ritorna con un nuovo album, Gyllyng Street, che conferma tutte le sue eccellenti doti di cantautore capace di spaziare da atmosfere folk al rock, il tutto condito da sonorità low fi e innumerevoli esperimenti sonori in fase di arrangiamento. Inciso praticamente in solitudine nel novembre dello scorso anno in una fattoria, questo nuovo album è composto da sette brani di ottima fattura, arrangiati in modo egregio dallo stesso Sumpner, che per la prima volta si è fatto affiancare da alcuni musicisti come Clive Scott (tromba), Jonathan Gill (batteria), Oliver Bird (basso) e Julie Cole (controcanti). Gyllyng Street è dunque un bellissimo disco, in cui si apprezzano sfumature diverse in ogni brano, passando dalle scintillanti chitarre acustiche di Boats e West Coast Profiling a introspezioni folk di The Ballad Of Century Paul fino a toccare la più elaborata Fires PGR ed in fine la pastorale A Sketch For Maenporth. Se sullo sfondo delle canzoni si muovono i colori e le atmosfere della natia Cornovaglia, dove Super ha vissuto fino a metà degl’anni novanta, nei testi si apprezza una particolare cura per i dettagli poetici. Sumpner con il suo progetto Song Of Green Pheasant, ha tutte le carte in regola per poter confrontarsi sullo stesso campo dei numerosi cantautore di nuova generazione, con la possibilità in più di poter dar vita ad una vera e propria band, aprendosi ad ulteriori e nuove contaminazioni. 1. Boats
It's been over 3 years since the last Múm's, Summer Make Good and a lot of water has passed under the bridge. Now finally, a new batch of songs making up a fresh album, strangely titled, Go Go Smear The Poison Ivy… Gli islandesi, Mùm, sono una delle più apprezzate band della scena indie europea. Attivi sin dal 2000, i Mùm, sono saliti alla ribalta grazie allo splendido Finally We Are No One ma è con il più recente Summer Make Good, che per loro si sono aperte le porte del successo ma anche di una intensa attività live tra Europa, Stati Uniti e Asia, culminanta con le collaborazioni con la National Dutch Chamber Orchestra e il compositore avant-garde Iannis Xenakis. Il nuovo album, Go Go Smear The Poison Ivy, ha avuto una gestazione piuttosto lunga ma soprattutto è il frutto del lavoro della nuova line up della band, che ha visto la partenza di Kristín Vlatýsdóttir e l’ingresso di Sigurlaug Gísladóttir e alcune collaborazioni di interessanti come quella storica con Eiríkur Orri Ólafsson (che ha co-firmato alcuni brani), e le nuove con Hildur Guðnadóttir, che nel disco suona il cello e con Samuli Kosminen, che ha curato le percussioni in alcuni brani. Go Go Smear The Poison Ivy è stato registrato in diverse location, come una scuola di musica nella piccola cittadina di Ísafjörður su un fiordo dell’Islanda e vede l’uso di una strumentazione mai così varia. Le parti di percussioni sono state in larga parte registrate sull’isola di Nötö in una vecchia scuola mentre una cura particolare è stata riservata alle parti vocali. Rispetto al passato è emerso tutto il potenziale creativo dei due membri fondatori ovvero Gunnar e Örvar, ora focalizzati più sulla forma canzone che sui vari sperimentalismi. Il risultato è un disco pieno di fascino che trova i suoi vertici in ballate trasversali (A Little Bit, Sometimes), sbilenche cantilene elettroniche (They Made Frogs Smoke 'Til They Exploded) e divagazioni verso il pop sinfonico (Marmalade Fires). Se la vostra curiosità musicale ha bisogno di essere continuamente soddisfatta questo disco è ciò che fa per voi. Vashti Bunyan - Some Things Just Stick In Your Mind La storia di Vashti Bunyan è stata già ampiamente raccontata in occasione del suo come back album di due anni fa, disco che allora spiazzò un po’ tutti tanto per la bellezza quanto anche per la particolare storia della sua autrice. Vashti Bunyan, nata nel 1945, è la vera e propria eroina di tutto il movimento neo-folk, ovvero quello che vede in Devendra Banhart il principale capofila. Negl’anni settanta la Bunyan si era messa in luce con un interessante album, che addirittura conteneva un brano donatole da Mick Jagger e Keith Richards, poi però di lei si persero le tracce fino al come back album di due anni fa. Some Things Just Stick In Your Mind, la nuova raccolta realizzata dalla Fat Cat Records, prende in esame il periodo precedente alla pubblicazione del suo album di debutto e mette in fila brani tratti da singoli, demo, acetati e inediti mai pubblicati. Sorprendente è come la Bunyan in questi brani appaia più che come una folk singer come una cantante pop dallo stile assolutamente particolare e dalla voce cristallina quasi quanto quella di Sandy Danny. La raccolta è composta da due dischi per un totale di venticinque brani, molti dei quali provenienti da alcuni acetati ritrovati di recente nella soffitta del fratello della Bunyan. Nel primo disco trovano posto i primi singoli, due dei quali inediti registrati tra il 1965 e il 1967. Ci sono alcuni tentativi effettuati da Andrew Loog Oldham di trasformarla in una cantante pop, facendola incidere insieme ad un orchestra, lei rifiutò. Dopo lo scarso successo del singolo di debutto I Want To Be Alone, la Bunyan ci riprovò con il più sperimentale Train Song/Love Song, due brani per soli chitarra, cello e voce. Arrivarono poi i giorni del suo disco di debutto ovvero il mitico, Just Another Diamond Day ma anche questa volta il successo non arrivò e così decise di tornare alla corte di Andrew Oldham con il quale incise tre singoli tra il 1966 e il 1967 ovvero Winter Is Blue/ Coldest Night Of The Year/I’d Like To Walk Around In Your Mind, che però rimasero inediti. Questo avvenimento la condusse verso il ritiro dalle scene sulle quali è tornata solo trent’anni dopo, dopo aver vissuto a lungo sull’Isola di Skye. Il secondo disco, comprende per intero un master realizzato nel 1964 che vede la Bunyan alle prese con dodici canzoni incise in una sola ora di registrazione. Quattro di questi brani erano parte di un acetato 7’’ ormai disperso che sarebbe servito come demo. I brani furono composti dalla Bunyan tra i diciotto e i diciannove anni e nonostante, la non eccellente qualità sonora, si apprezza a pieno tutta la sua grande eleganza compositiva. Parallelamente a questa pubblicazione, è in arrivo un documentario diretto da Kieran Evans, che racconterà tutto il suo percorso artistico fino al ritiro ed infine il suo ritorno sulle scene. Se avete amato il come back album della Bunyan, questo doppio disco non deve mancare alla vostra collezione, trattandosi di una raccolta di acquerelli sonori ora pop ora folk di rara bellezza.
CD1 Early Singles / Demos CD2 1964 Demo Tape |
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