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Intervista a Sonny Landreth
Sonny Landreth è certamente uno dei più apprezzati chitarristi slide d’America, capace di unire il blues al cajun e allo zydeco della Louisiana. Lo abbiamo intervistato in occasione della pubblicazione del suo ultimo album, From The Reach, ed oltre alle sessions che hanno visto al suo fianco molti ospiti abbiamo ripercorso insieme la sua carriera.
Ciao Sonny, come va? Sei soddisfatto del successo del tuo nuovo album? Ciao Sal, sto davvero bene e sono molto felice per la riuscita di questo disco, tanto per le canzoni quanto per la mia band e i tanti ospiti che mi hanno affiancato durante le sessions. Ho già in programma molti concerti con la mia band, ovviamente suoneremo anche i brani nuovi. Spero di tornare a suonare presto anche in Italia, ho tanti amici e adoro la vostra ospitalità. From The Reach è caratterizzato da molte collaborazioni, così come la tua carriera, ce ne puoi parlare? Molto tempo fa ho capito che si può imparare sempre qualcosa da qualcuno, così sono sempre stato attento nell’osservare chi suonava con me e soprattutto sono sempre stato aperto verso le novità. Quando ho suonato con John Mayall, Mark Knofpler, John Hiatt ho cercato sempre di capire subito il loro metodo di lavoro. Mi sento fortunato per aver fatto un percorso musicale davvero completo. Facendo un passo in dietro nel tempo, torniamo ai suoi esordi come musicista, come è iniziato il tuo amore per la musica? Ho cominciato a dieci anni, suonavo la tromba nell’orchestra del liceo, poi verso i tredici anni passai alla chitarra affascinato da Scotty Moore, il mio primo idolo chitarristico, poi rimasi colpito da Chet Atkins da cui ho imparato il fingerpicking. Quando scoprii Robert Johnson rimasi letteralmente folgorato non riuscivo a credere che riuscisse a far suonare la sua chitarra acustica come una elettrica, da lì sono partito alla scoperta del Blues del Delta. Nel tuo DNA musical però ci sono anche echi di musica cajun e zydeco… Io sono nato nel Mississippi ma la mia famiglia si trasferì nel Sud della Louisiana quando avevo sette anni. Sono stato molto fortunato perché la musica è fondamentale nella cultura del Sud della Louisiana, ho avuto modo di conoscere la musica creola, il sound di New Orleans, il jazz. Non a caso, come ti ho detto, suonavo con l’orchestra del liceo e facevamo musica jazz. Sei un musicista completo allora… Ci provo, al college ho studiato anche flauto e piano, vorrei approfondirli e spero di farlo nei prossimi anni. Io però ho sempre cercato di apprendere molto da chi suonava strumenti diversi dalla chitarra, un po’ come fanno alcuni musicisti jazz nel seguire la linea melodica degli strumenti a fiato. Ci racconti del tuo debutto come professionista? Nel 1979 sono entrato nella Red Hot Louisiana Band di Clifton Chenier, è stata un esperienza importante, è stato il momento in cui la mia vita è cambiata totalmente. Da allora ho suonato Zachary Richard e poi successivamente con John Hiatt e tutti gli altri. Parlando di John Hiatt ci puoi parlare del tuo rapporto artistico con lui? Me lo presentò Ray Benson degli Asleep At The Wheel, John veniva dal grande successo di Bring The Family e fu un vero traguardo arrivare a suonare con lui in Slow Turning e soprattutto suonare nella sua band dal vivo. Posso dire che è stato il mio trampolino di lancio. Tornando al tuo nuovo album From The Reach, com’è cambiato il tuo approccio alla musica dal tuo esordio solista ad adesso? Penso che i processi di evoluzione sono tutti importanti. Alcuni di quelli che mi seguono sempre e che hanno tutti i miei dischi, spesso mi dicono beh questo disco è più bello di quell’altro, o cose di questo tipo. La vita del musicista va però valutata in modo critico, ci sono momenti di crescita, errori, successi, tutto ha un senso solo se visto nella sua interezza. Tra i brani più interessanti del tuo nuovo disco ci sono certamente When I Still Had You e Storm Of Worry, incise entrambe con Eric Clapton, puoi parlarcene? Eric è stato uno dei miei guitar heroes. Non posso che essere contento di averlo come ospite e soprattutto di aver avuto modo di imparare tanto da lui. Eric mi ha invitato nella prima edizione del suo Crossroad e lo scorso anno mi ha chiamato di nuovo e due miei brani sono finiti nel Dvd. Cosa posso chiedere di più?. Un ultima domanda puoi parlarci di Blue Tarp Blues e del tuo rapporto con Mark Knopfler? Io e Mark abbiamo un ottimo rapporto e quando suoniamo insieme succede sempre qualcosa di speciale. Quando l’ho chiamato per chiedergli di suonare, ha scelto subito Blue Tarp Blues e mi ha suggerito alcune modifiche al testo. Quando abbiamo inciso il pezzo è stato davvero grande, il nostro feeling musicale è veramente enorme”. Prima di salutarci gli dico che quando Mark Knopfler suona con lui, sembra tornato quello dei tempi dei Dire Straits, e Sonny ridendo: “Non credo sia vero. E’ vero però che quando suoniamo insieme emerge la sua anima americana, che nei suoi dischi tiene un po’ nascosta”. Salvatore Esposito
(photo by Sandro)
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