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Isotope - Golden Section
(cuneiform/IRD)

English Jazz Rock at its most emphatic, with Soft Machine’s own Hugh Hopper adding extra sparks to the generaly frenziness

Isotope vissero una breve ma intensa stagione fra il 1973 e il 1975. Il loro jazz rock tutto inglese guidato alla chitarra fulminante di Gary Boyle fece gridare a un futuro luminoso. La band guidata dal chitarrista fuori uscito dalla formazione di Stomy Yamashta affogò però fra i Soft Machine che erano passati da essere un gruppo mental a una band ben più fisica con l’innesto del giovane Allan Holdsworth e la Mahavisnu Orchestra che stava riscuotendo grande successon America. Weather Report, gli italiani Perigeo, gli olandesi Supersister, i francesi Zao etanti altri gruppi paralleli come i mai domi Nucleus ma soprattutto gli appena nati Hatfield & the North impedirono a Isotope di trovarsi un posto al sole che desse risalto alla loro indiscussa bravura.
Golden Section, registrato per la grande maggioranza dal vivo per la radio tedesca Brema nella primavera 1975 e in parte minore nel 1974 nella unica tournee della east coast del gruppo, ci mostra gli isotope in formazione mutata rispetto al disco d’esordio con la accreditata presenza di Hugh Hopper dei Soft Machine al basso elettrico.
La musica, snella, veloce a tratti sovraeccitata al limite del caotico, di questo cd rappresenta bene il periodo e gli Isotope. Il jazz rock, una brutta bestia per decenni a venire, che nessuno avrebbe voluto più toccare per paura di bruciarsi, è in questo disco incontaminato - da lì a poco il funky lo avrebbe trasformato in qualche cosa che solo gli Headhunters di Herbie Hancock e pochi altri americani potevano permettersi di trattare bene! - e ai massimi livelli espressivi come in Mr M’s Pictures e in Frog.
Interessante per mille motivi il contributo compositivo di Hopper che è presente con tre brani propri dal tour del 1974, brani che la dicono lunga sulla sua importanza nel lungo corso della musica. Il suo bassismo a temi (si ascolti Golden Sectiom che dà il titolo al disco), il suo suono distorto che buca l’ensemble e fa girare il groove è qui evidente, come a farci riflettere che, con o senza Soft Machine, Hopper era e resta se stesso.
E’ la testimonianza del lungo percorso del basista di Canterbury, una carriera mai abbastanza celebrata (si pensi al suo album solista 1984 un capolavoro!) e di cui Gary Boyle e i suoi Isotope poterono in qualche modo beneficiare in quella che fu la loro unica, breve, stagione di lucida piccola gloria prima di essere ingoiati come la millesima casualità dell’ultima stagione dei settanta prima dell’avvento del Punk.

Ernesto de Pascale

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