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Ricordo di Phil Guy

Ho lavorato con Phil Guy per ventun anni, dal 1987 ad oggi. Molte volte ho raccontato la nostra storia, ma questa è decisamente la più difficile. Tutto è iniziato di giovedì, il 4 di giugno del 1987: musicalmente, è finito il 6 di giugno di quest' anno, un venerdì. Giugno non a caso, perchè lo Chicago Blues Festival è sempre lì, ogni anno, tra l' ultima settimana di maggio e la prima di giugno. Umanamente è invece finita il 20 agosto alle 9.40 del mattino, quando Phil è spirato assistito dalla sorella Annie Mae Holmes e da me.

E c'è una bella differenza, tra quel giovedì di ventun anni fa ed oggi. Molti musicisti italiani hanno ormai praticato Chicago, le sue vie ed i suoi palchi, oppure girano l' Italia accompagnando più o meno noti suonatori americani. Nel 1987 era tutto molto diverso, era ancora tutto da scrivere, da inventare, da vivere. E Phil ha guidato me e la “famiglia” musicale di cui faccio parte (Model T Boogie fino al 1990, la Blues Gang poi fino ad oggi) dentro questa avventura.

Phil Guy è stato il bluesman che più e prima di tutti ha accettato la collaborazione con musicisti non americani. La sua figura è figlia dei '60's, la sua formazione è quella dell' integrazione, delle lotte della sua gente in quegli anni ma anche della consapevolezza della necessità dell' unità di tutti.
Uomo che fino all' ultimo ha orgogliosamente indossato la sua parrucca Afro, The Wig, (il “segno” della Afro - Americanità di quegli anni) e che poi ha praticato l' inter-razzialità nel lavoro, nelle amicizie e nella vita personale. Schivo e assolutamente non formale, Phil era sempre disponibile, uomo dalla professionalità assoluta e mai viziata dai capricci o vezzi della star. E' stato un maestro, nel vero senso del termine: come quando a Pistoia ci insegnava le parti vocali per “Born to get down”, il suo pezzo che poi diede il titolo al secondo lavoro dei Model T, o come quando a Torino, nei lunghi pomeriggi casalinghi dei day off, prendeva la chitarra in mano e si cominciava a suonare, in due. E lì venivan fuori le cose più belle, nascoste, quei riff che non trovi in nessun disco o metodo, quel modo di incollare le note che ti insegna come raccontare una storia.

Phil è stato un amico, e questa è la parte più personale della storia e che quindi non racconterò, ma che va almeno accennata. Un' amicizia cementata dai chilometri guidati insieme in Europa o negli States e dalla quantità di pollo fritto, ribs, pork cracklins (i nostri ciccioli) mangiati in giro tra Dusties' e KFC e poi dai discorsi, dai racconti, da tutte quelle cose insomma che fanno un' amicizia. Come quando rientravo a casa e lo trovavo intento in lunghe “conversazioni” con i miei: lui non parlava italiano, loro non parlavano inglese... eppure si capivano, due parole qui, un gesto là. O come quando vedemmo un dettagliato documentario sulla prima guerra del Golfo su Rai 3, e Phil guardando attonito le immagini dei bombardamenti su Bagdad disse ma queste cose a noi non le fanno vedere... Un'amicizia cementata dall' allegria, dalla fatica e dal dolore vissuti insieme.

Phil Guy è stato un musicista più importante di quanto non possa sembrare: molti possono pensare di lui che in fondo è il fratello minore di... Pochi hanno capito il profondo rapporto che legava Phil e Buddy Guy. Molti hanno pensato, immaginato, sparlato di rivalità, supposte superiorità o inferiorità dell' uno rispetto all' altro... giustamente Delores Scott, intervenendo ai funerali a nome di Koko Taylor, ha detto che questa gente avrebbe fatto meglio a tacere una volta per tutte. (Ma si sa, che di lingue lunghe è popolato il mondo...).


Phil ha diviso il palco, suonato e registrato con gente impensabile. Ed il bello è che non lo diceva! Lo faceva con pochi accenni, mezze frasi dette quasi controvoglia, o durante i suoi concerti, con le canzoni che sceglieva di suonare. Come quando suonava non a caso Dock of the bay o Miss you o Long distance call, o... beh, no, Mercedes Benz non la suonava, ma ha suonato anche con Janis Joplin, oltre che con Otis Redding, gli Stones e Muddy Waters. Ed ogni tanto ne spuntava fuori qualcun altro, e sono certo che ne sia rimasto qualcuno nel cappello...

Phil Guy è stato uno dei primi “Ambasciatori del Blues”. Non solo ha girato il mondo con Buddy Guy, Junior Wells, o con quelle formazioni di cartello così popolari negli anni '70 e '80: Phil ha portato, insegnato, la lingua e l' umanità del Blues in tutto il mondo.

Così come per ventun anni ha lavorato con me nell' Europa del Sud, Phil ha avuto collaborazioni con musicisti in Inghilterra, Germania, Finlandia, Argentina, Brasile... ha tracciato la via che poi molti altri Bluesmen hanno iniziato a seguire, quella cioè del viaggiare da soli trovando musicisti locali con cui lavorare. Praticata sì da sempre all' interno degli USA, ma non all' estero.

E non così facilmente pensabile, venti o trent' anni fa.. Se nel 1987 arrivando a Chicago con i Model T era palpabile la curiosità, e per alcuni la diffidenza nei nostri confronti, ora i clubs sono pieni di musicisti europei, giapponesi, sud americani. Alcuni sono ragazzi che suonano per diletto, altri professionisti. Alcuni scelgono di fermarsi a Chicago per tentare l' avventura, e talvolta ci riescono, altri invece preferiscono viaggiare e continuare a vivere nel proprio paese.

Il gruppo di Phil, la Chicago Machine, è da sempre stato una palestra per molti: gruppo dalla formazione “aperta”, nella migliore delle tradizioni, fino all' ultimo ha visto alternarsi al suo interno giovani e meno giovani strumentisti, Ray Allison, Maurice John Vaughn, Walter Scott, Marty Sammon, Hassan Khan...parlando di italiani, oltre a me han suonato nella Chicago Machine Nick Becattini, Andrea Scagliarini, Massimo Bertagna, Ilaria Lantieri...

E l'elenco sarebbe lungo, qui ci serve solo per ricordare e sottolineare quanto Phil sia stato consapevole della necessità di tramandare il Blues alle nuove generazioni, in tutto il mondo.
Curando in questi giorni la nascita del nuovo sito in tributo a Phil su Myspace (www.myspace.com/philguyblues) sto raccogliendo informazioni e testimonianze sul suo lavoro internazionale, e il risultato è notevole. Stanno arrivando foto e ricordi da tutto il mondo: musicisti, fans, promoters dalla Macedonia all' Argentina, dalla Grecia alla Finlandia e così via.

E quindi, come è stato difficile iniziare così è duro chiudere questo ricordo di Phil, proprio perchè suona ancora innaturale il doverlo ricordare, ed inevitabilmente l' istinto ti porta ad usare, scrivendo, il presente al posto dell' imperfetto. Phil ha suonato il suo ultimo concerto a Chicago il primo di luglio, per il Taste of Chicago, la grande festa gastronomica della città. Tre giorni dopo, per il 4th of July, ha suonato il suo ultimo show al Mississippi Valley Blues Fest di Quad Cities, Davenport, Iowa.

Un ringraziamento speciale va a tutti i musicisti che hanno condiviso questi anni con Phil e me, e poi ad Ernesto De Pascale ed il Popolo del Blues per aver pubblicato il nostro lavoro comune, “Working together”.

Dario Lombardo


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