Patti Smith e Robert Mapplethorpe sono stati a lungo una cosa sola. A New York nei tardi anni settanta i due nomi erano accomunati ogni qualvolta se ne pronunciasse uno si sentiva reverberare quello dell’altro.
Il motivo di questo legame, in arte morboso, poi distaccato, quindi di nuovo morboso, è raccontato in Just Kids, un diario passpartout per capire una delle più raffinate personalità del novecento, Mapplethorpe, e una delle più argomentate dell’età d’oro del Rock & Roll, Patti.
Il libro, che inizia come una love story e termina come una elegia ( parole dell’editore Harper Collins ) o la storia di una generazione persa che nei sessanta ruota intorno all’infame Chelsea Hotel e si muove attraverso i settanta in due direzione, peccato e castità. Successo e disperazione, alti e bassi, castità e perdizione animano le 293 pagine di una delle più belle produzioni di Patti Smith dai tempi di Horses ad oggi, senza ombra di dubbio. Pochi altri volumi descrivono così bene una New York che non c’è più, prima della cura Giuliani, la ascesa sudata ma programmatica al successo attraverso il caos ma nel nome di un decoro artistico che niente ha a che vedere con la grossolanità di altri successi della stessa epoca.
Per Patti Smith Robert Mapplerthorpe era e resta un icona : con tenerezza e stile e uno stile oracolare e familiare che rimandano ai suoi migliori inni generazionali - "Because the Night," "Gloria," and "Dancing Barefoot" - la Smith che arriva a NYC nel 1967 a 21 anni nel nome della ricerca di qualcosa che neanche ben lei sa, bilancia il potere dell’osservazione e della memoria con le riflessioni di chi ha vista troppa vita. Just Kids si fa notare soprattutto per non essere mai un viaggio a ritroso nel tempo e nei semplici ricordi ma per ricordare a chi legge che da qualche parte si deve pur cominciare senza indugi e senza tante congetture. Una lezione oggi più che mai importante.
Ernesto de Pascale
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