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Paul Weller - Royal Albert Hall
London May 24th, 2010

Paul Weller entra deciso sul palco della Royal Albert Hall per la prima di cinque tutti esauriti sulla scia del nuovo Wake Up Nation e parte dritto con il nuovo album. Per due ore e venti fugherà qualsiasi dubbio sul proprio stato di salute artistica (e fisica) con un set robusto e nervoso che vede i brani della nuova produzione in testa alla lunga serata. Complessi nella struttura, immediati nella recezione le nuove canzoni girano benissimo senza un attimo di tregua, il tutto semplificato dal pubblico che già li conosce a menadito.
E’ quando però Paul si addentra nel suo repertorio classico che le cose cambiano - Invisible, una versione dub di Wild Wood, Anything You Wanna Do i primi brani che viene da menzionare - segnano una coesione stilistica che ha ancora una potente radice nella musica nera a cui Weller pare tanto legato, addirittura oggi più che mai.

Accompagnato da una band in parte nuova, il 52enne artista di Woking sul palco di una incandescente Royal Albert Hall, reiventa letteralmente How Sweet It Is To Be Loved By You aumentato da Rox, 21enne giamaicana di Brixton agli esordi (ascoltate il suo primo album se vi capita a tiro) per lanciarsi infine in due inaspettati fuori programma: Start dal repertorio di The Jam e Shout To the Top da quello di The Style Council.
Da quel momento in poi il concerto non tornerà più alla base e si prosegue nel delirio più totale; il produttore Simon Dine saltella fra gli strumenti, Steve Craddock fa fatica a tenere tutto in posizione verticale mentre Paul appare e scompare fra le quinte mentre una buona dose di glam si affaccia sul palcoscenico nel felice gioco del tripudio.
Concerto assolutamente “britannico” (difficile riproporlo dove Wake Up Nation non è stato ancora digerito!) Weller ha picchiato sodo. Tutti vociferavano dell’arrivo sul palco di Bruce Foxton dei Jam e di Kevin Shield di My Bloody Valentine che nel nuovo disco hanno un paio di importanti momenti. Non si è visto nessuno, però. Non se ne è sentita la mancanza.

Ernesto de Pascale

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