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The New York Dolls - Bologna

LIVE

The New York Dolls
Estragon Bologna 14.10.2006

The pride and joy of a grown up rock & roll band

Messi da una parte i travestimenti The New York Dolls sono tornati per dare al popolo del rock ciò che quello chiedeva: una scossa nel generale torpore, un sano ed effettivo approccio a una attitudine che da un decennio all’altra si va sempre più frequentemente trascinando per clonazione e non per altro.

Una tournee europea viene a mettere a tacere i dubbi sulla loro capacità di essere oggi ciò che furono in una breve ed intensa stagione newyorchese prima del punk. Bastano le prime battute di “Lookin’ for a kiss” per capire che le presuntuose recensioni di giovanotti esterofili incapaci di accettare il naturale senso di growing up che traspare dal loro album in studio “One day you will be pleased to remeber even this” sono spazzate via dall’orgoglio di essere ancora vivi e capaci di suonare un genere semplice ma allo stesso tempo complicato perché pieno di antichi rituali oggi solo scimmiottati.

The New York Dolls – oggi che il bassista Kane non è più con noi – sono solo David Johansen e Syl Sylvain ma tanto basta a far valere il diritto di proprietà: Ascoltare la loro miscela di riff taglienti e miagolanti metriche blues sopra una impeccabile e potentissima ritmica che non guarda in faccia a nessuno, è un piacere intenso. Dietro ai due, o meglio, a fianco dei due, è l’italoamericano Steve Conte a fare il resto. Chitarrista straordinario e bravo cantante, sicuro band director, Conte sta facendo moltissimo per questa band: lui è la giusta interfaccia con la storia del gruppo e ha la confidenza per capire cosa è New York Dolls e cosa non è.

Il concerto è un vero show di rock & roll, non manca niente: i brani scivolano via uno dietro l’altro con una nonchalanche di rollingstoniana memoria.
La band va vanti dritta; riesuma “Piece of My heart”, resa celebre da Janis Joplin ma scritta dai newyorchesei Jerry Ragavoy e Bert Burns, le cui canzoni erano state precedentemente suonate nel PA dell’Estragon, ma è quando David Johansen e Syl Sylvain intonano “You can’t put your arms around a memory” scritta da Johnny Thunders ( ultimamente ripresa da Ronnie Spector ) che il ruolo e i meriti delle Dolls tornano chiari in mente: aver spezzato la spirale melensa del rock radiofonico middle of the road nel nome di un orgoglio – tutto newyorchese – di chi vuole rimpossessarsi delle proprie radici.
Il finale inanella “Trash”, “Jet Boy” e “Personality Crisis” ed è solo la storia che si ripete e che noi da sotto il palco possiamo solo guardare ripetersi con stupore, ripercorrendo mentalmente i difficili inizi del gruppo e l’aria pionieristica degli slum di East Village.

I più consumati rockers di casa nostra guardavano con un ghigno sulle labbra da una parte lo show, appartati, con i loro pensieri, le loro memories, le tante battaglie perse e vinte nel nome del rock ma tutte combattute in un paese, questo, ostico. Le teenagers delle prime fila, da parte loro, avranno invece di che questionare con i propri ragazzi nelle prossime settimane per ottenere ciò che questa sera le faceva sbavare . Essi, i boys, a bocca aperta ma per motivi diversi da quelli delle girls, magari ci penseranno su in futuro a fare un po’ meno gli sboorni e – musicisti o non – a rischiare qualcosa in più per far tornare un po’ di rock & roll anche nella Bella Italia. Nel caso non sappiano come fare si documentino versi i fratellini maggiori. E si ricordino sempre della lezione di Johnny Thunders, David Kaene, Billy Murcia, Syl Sylvain, David Johansen : you can’t put your arms around a memory. Tanto vale andare avanti. Come fanno a testa alta le Dolls di adesso con la certezza di avere indietro ciò che stanno donando con ancora tanto ardore e passione.

Ernesto de Pascale

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