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Intervista a Tony Joe White

INTERVIEW

Intervista a Tony Joe White
di Ernesto de Pascale



Tony Joe White ti guarda dal profondo azzurro dei suoi occhi e non parla per un po’, poi ripercorre in poche frasi tutta la sua vita: “La mia infanzia è stata davvero dura, sono cresciuta in una fattoria di cotone sulle sponde del Mississippi, in Louisiana, alzandomi alle 5.30 ogni mattina e andando a lavorare nei campi con tuta la famiglia a bordo di un camion che dovevamo il più delle volte spingere. Ma non c’era sera che mio padre non si sedesse sui gradini della casa dove alloggiavamo e non cominciasse a suonare e a cantare. Aveva un repertorio sterminato, me ne sono reso conto solo dopo. A quindici anni imbracciai la chitarra anche io. Mio fratello portò a casa un disco di Lighting Hopkins e io rimasi allibito. Mio padre mi benedì per la mia scelta e da quel giorno la musica mi ha portato per mano per le strade del mondo”.
White è un uomo molto spirituale. Dall’alto dei suoi sessantatre anni emana energia e saggezza solo a vederlo ma anche un certo senso di mistero accentuato dal suo aspetto e da questa voce bassa e lenta che dispensa storia che paiono provenire da altri mondi. E’ un uomo di un’epoca differente da quella attuale, questo è fuori di dubbio. Il distorsore, che collegato alla sua chitarra elettrica fa produrre a quella suoni diabolici, lo chiama swamp box e mi dice. “Lo posseggo dal 1968, mi indicò Jimi Hendrix dove acquistarlo, più precisamente a Londra in Denmark street. Se non erro mi disse “ questo oggetto farà urlare la tua chitarra”.
Lo swamp box non ha però mai cambiato il tono laid back delle canzoni di White: da “Polk Salad Annie”, portata al successo da Elvis Presley e brano centrale di tutti i suoi spettacoli a Las Vegas fino a “Rainy Night in Georgia” portata al successo da Brook Benton, Tony Joe ha sempre posto molta attenzione al groove, a quella inspiegabile antica miscela che fa camminare un brano lungo il binario giusto.
“ Elvis arrivò come un ciclone nella vita di noi, river kids. Fino a quel giorno avevo pensato che il blues fosse una musica ad unico appannaggio dei neri. Presley cambiò le mie vedute e quelle di molti altri della mia generazione”.
Ma il cantante di Memphis non fu però l’unica fascinazione di White. Un altro artista, questi proveniente dal più tradizionale repertorio Top ten country music, indusse Tony Joe White a misurarsi con le proprie canzoni per diventare un personalissimo interprete, al pari dei molti artisti ai quali andava offrendo il suo materiale.
“ Lavoravo in un bar ogni giorno; suonavo dodici ore, di tutto, dalle canzoni di Elvis Presley fino a tutto il repertorio di John Lee Hooker, un genio per me!, ma ero fondamentalmente insoddisfatto perché i miei esperimenti come autore non mi avevano convinto in pieno. Ero certo che stavo cercando qualcosa di diverso ma non sapevo cosa. Fino a che un giorno la radio non mandò in onda per la prima volta “Ode to Billie Joe” di Bobby Gentry. Ascoltandola entrai in uno stato di profonda riflessione che mi indusse a pensare che da quel giorno in poi avrei solo voluto scrivere canzoni che esprimessero davvero me stesso e la terra da dove provenivo” . E prosegue: “Rainy Night in Georgia “ nacque perché per un periodo guidavo un camion per il Dipartimento Autostradale della Georgia e di notti piovose ne vedevo parecchie, credimi!”. White potrebbe andare avanti così all’infinito.
La semplicità quindi innanzi a tutto. Semplicità che lo ha portato intatto fino ai nostri giorni.



Dai suoi esordi nei tardi anni sessanta e i bellissimi dischi dei primi settanta– album in cui lo accompagnano la crema dei Muscle Shoals e la produzione di Jerry Wexler e Tom Dowd, “The Train I’m on “ del 1972, “Home Made Ice Cream Man” del 1973, fino ai più recenti “The Heroines” del 2004 con Emmilou Harris, Shelby Lynn, Lucinda Williams e Jesse Coulter e il nuovissimo “the Keepers of the Far” con J.J. Cale ed Eric Clapton – Tony Joe White non ha mai cambiato strada.
Una interminabile serie di successi ha permesso a “The Swamp Fox”, come lo chiamano i suoi fan francesi, di cavarsela in maniera eccellente grazie al nome che White si fece fin da subito fra i nuovi autori e alle porte aperte da Elvis. “Presley una volta mi disse “ ragazzo, mi pare di averla scritta io questa canzone( “Polk Salad Annie”) dalle volte che la ho interpretata” ed io gli risposi” Beh!, da come la canti sembra proprio che sia tua…” Stava per registrare anche “Rainy Night in Georgia” poi ci lasciò…”.
A dimostrazione delle sue indiscusse qualità di autore anche in un periodo certo favorevole alla sua musica, - gli anni ottanta - Tony Joe White riapparve dalla sua ritirata vita di southern man con un inatteso successo mondiale, “Steamy Windows”per Tina Turner.
“Conoscevo Tina dagli anni sessanta, dall’epoca delle revue con Ike, ma la canzone non era stata scritta per lei, diciamo la verità. Girava sui tavoli degli editori da un po’ di tempo. Ma quando la Turner sentì il brano e vide chi era l’autore mi telefonò e con il suo tipico modo di esprimersi mi disse senza peli sulla lingua: “ Son of a bitch, you’ve made it one mo’time”. E capì che quella canzone ci avrebbe portato entrambi lontano, molto lontano!…ed eccomi qua”.

Ernesto de Pascale

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