. Man - Keep on Crinting, 1971-1975
madeleine peyroux Man - Keep on Crinting, 1971-1975
(Emi)

Liberty/United Artists’ years excellent compilation for the Kings of Welsh Guitar driven Psychedelia, Man

Tempi eroici quelli dei gallesi Man: su e giù per i dolci crinali della loro terra, stipati in un fetido furgone a sognare la California psichedelica e le chitarre magiche di gunslinger maledetti come, Garcia, Kaukonen, Cipollina, quest’ultima sogno diventato realtà mentre le canne non si contano più.
Tempi eroici anche per la rampante Liberty records capace di far incidere alla band 4 album in soli 3 anni, fra la fine del 1969 e il 1972, senza che nessuno di questi scalasse davvero la classifica.
Man significarono molte cose per il sottobosco inglese: un pubblico seguace e capellone, un nucleo che girava intorno ai chitarristi Mick Jones, Deke Leonard (assoldato come pianista) e Clive John, questi ultimi due molte volte su e giù dal palco. Il gruppo volle dire però anche comunicativa, lunghe jam session e la non secondaria presenza di altri musicisti fondamentali allo sviluppo sonoro dell’unita di lavoro: Martin Ace, una pedina importante, il tastierista Phil Ryan proveniente dai Piblokto di Pete Brown, il secondo chitarrista Alan “Tweke” Lewis, il bassista Ken Whaley.
Fra il 1972 e il 1976 i Man incidono i dischi più convincenti della loro carriera che si protrarrà ben oltre i novanta : dall’elaborato “Be Good Yourself At Least Once a Day” (la cui cover originale si apre e diventa una mappa del Galles, rarissimo!) prodotto da Dave Edmunds e contenente il crowdpleaser ” Bananas” e il superbo strumentale “Keep on Crintin’” alla session in edizione limitata dieci pollici di “Xmas at Patti“ (ristampata dalla BGO e con Ducks De Luxe, Dave Edmunds e Help Yorself, la nuova band del fuoriuscito Deke Leonard) attraverso il più completo “Back to The Future “ fino a “Rhinoos, Winos and Lunatics” considerato alla critica dell’epoca il miglior album dei gallesi e l’unico a salire in classifica, su fino alla 24esima posizione.
Quando, sull’onda del disco “Slow Motion” (Ottobre 1974) la cui copertina si deve all’estro del californiano Rick Griffin, la band si ripresenterà sui palcoscenici di casa nel Maggio 1975 , dopo una lunga tournee americana, accompagnata da John Cipollina dei QuickSilver Messanger Service per ospite (il tutto documentato dal bellissimo “ Maximum Darkness” dell’Ottobre 1975) , sarà evidente la buona semina della formazione accolta da un vasto pubblico festoso, impossibile a essere identificato dal numero di copie vendute.
Dopo “The Welsh Connection” (1976) ed “All’s Well that ends Well” (1977) i Man, consapevoli dei cambiamenti in atto, si scioglieranno per un po’, per tornare insieme nel 1983 e poi nei primi del duemila. Al momento atuale la formazione è in mano al solido Martin Ace e si esibisce localmente.
Fricchettoni dal gusto melodico, gruppo immarcescibile nelle proprie lunghe improvvisazioni che cavalcavano con piglio e sicurezze e con pochissimi cedimenti, Man rappresentano uno spaccato dell’underground britannico. Hanno l’odore dei Fish & Chips di Camden Town, di Patchouli, di calzini sporchi e di nero afgano, l’attitudine da veri rockers ma la consapevolezza da Pub band. Sono un misto di onestà, euforia, rispetto e misticismo seventies.
Band come Wolfmother e Jet dovrebbero ascoltarne dosi massicce per capire a fondo il senso di credo e di appartenenza al Rock autentico. Tutti gli altri dovrebbero solo alzarsi in piedi e togliersi il cappello al sentire pronunciare il loro nome.

Ernesto de Pascale

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