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Musica per corde e crini di cavallo
Il violino nel progressive – part 2



Nella prima parte di questa breve rassegna dedicata ai violinisti che hanno fatto la storia della musica progressive erano apparsi i nomi di personaggi come Simon House, Ray Shulman, Jerry Goodman (vedi “Il Popolo del Blues, luglio 2004). Forse nella prima parte si è trattato dei nomi più celebri e importanti ? Assolutamente no, dal momento che non sarà sfuggita ai cultori più attenti di questo genere musicale l’assenza ingiustificata di un autentico genio del violino rock come Darryl Way.

Era il 1970 quando il giovane Darryl Way, diplomato al Royal College of Music, formava il gruppo che gli avrebbe assicurato, pur senza raggiungere mai vendite considerevoli, un biglietto per lo star sistem: I Curved Air. I primi a prendere parte alla formazione furono il tastierista Francis Monkman e il batterista Florian Pilkington-Miska, già membri dei Sisyphus, seguiti poi dalla storica voce femminile solista della formazione, Sonja Kristina. Stabilito il loro nome ispirandosi ad un’opera minimale del compositore Terry Riley, A Rainbow in The Curved Air, il gruppo mise a segno il primo disco, Air Conditioning, passato alla storia per essere il primo picture disc mai pubblicato, che conteneva il brano più celebre della band, Vivaldi. Un passo avanti si ebbe poi nel 1971 con il secondo album Second Album, su cui si dibattono i giudizi della critica. Nel 1972, mentre la band continuava a cambiare un bassista ad album, arrivò l’ultimo capolavoro prima del definitivo scioglimento del line up originale, Phantasmagoria, dove progressive, canzone pop, folk e giochi di sintetizzatore si mescolano seguendo il filo conduttore del violino di Way. Prima della rilettura di Vivaldi per solo sintetizzatore, Ultra Vivaldi, in scaletta si ha il momento in cui Way può esibirsi nell’immancabile parentesi per violino solista, Cheetah. Si scopre così all’ascolto del brano quello che per il violinista è davvero un grande punto di merito, cioè la tendenza a cercare e fronteggiare anche nella musica rock le difficoltà tecniche. In altre parole, chi improvvisa e chi scrive sceglie la musica che suona, e ha la possibilità di evitare i passaggi troppo arditi ogni volta che vuole. Ma Way non lo fa, spingendosi al contrario volutamente alla ricerca di note acute al limite dell’eseguibilità. E ciò mantenendo un timbro di suono mediamente pulito che certo non aiuta a coprire le imperfezioni… (anche se da coprire c’è comunque molto poco). E Se Phantasmagoria segna l’uscita di Way dei Curved Air (salvo reunion per concerti e fallimentari tentativi di riconciliazione con la band), non va lasciata priva di menzione la sua successiva esperienza con i Wolf.

Molto più basata su blues e folk l’esperienza dei Familiy, band inglese attiva dai tardi anni sessanta che concilia progressive, canzoni e psichedelia. L’elemento caratterizzante qui, più che il violino, è la voce calda e ruvida di Roger Chapman. Il primo bassista e violinista nel line up, Ric Grech, fu sostituito dopo poco da un altro bassista e violinista, John Weider, presente a partire dal terzo album. Qui il violino ricalca la sua forma più comune di utilizzo, accompagnando i brani per liberarsi quando serve in punte di originalità e improvvisazione come in Normans (da Anyway, curioso quarto LP della band costituito da una facciata live e una registrata in studio, con Wieder al violino)


Altro violinista di grande talento, leader di una band forse meno celebre delle due appena citate ma ancora oggi considerata con grande rispetto e stima sia dalla critica che dagli appassionati, è Dave Arbus, fondatore degli East of Eden. Prova della valorizzazione di cui la band ancora oggi beneficia è l’opera di ristampa, ad opera dell’etichetta inglese Eclectic, dei pezzi migliori del loro catalogo, Mercator Projected (Deram, 1969) e Snafu (Deram, 1970), attesi nei negozi a settembre. Già l’album d’esordio Mercator Projected lascia intendere di che stoffa la band fosse fatta. Si tratta di un mix di stili e influenze diverse, dal progressive alla musica orientale, dove tutto confluisce in un insieme omogeneo e perfettamente concepito. Si passa dalla parentesi reggae di Isadora agli interventi di sitar su Waterways, per un genere musicale ben scritto ma con parentesi strumentali anche molto libere come il lungo assolo di basso su Centaur Woman. Da non dimenticare gli appigli degli East of Eden alla musica classica, con il brano Communion ispirato ad un quartetto d’archi di Bela Bartók. Arbus è un esperto nel muoversi tra i riff, spesso di ispirazione chitarristica ma sempre marchiati con un toccco di originale personalità (fornendo così solido appoggio alla struttura delle composizioni), ma quando serve libera una straordinaria agilità. L’esempio più celebre è il brano Gig-a-gig, strumentale di ispirazione folk irlandese che ha assicurato alla band, all’uscita del 45 giri nel 1970, il maggior successo commerciale. Con il successo è arrivato anche il decadere dello spirito del primo periodo a favore di un gusto più commerciale, che ha accompagnato poi la band verso lo scioglimento.


Per quanto riguarda il versante italiano, non si può non ricordare la Premiata Forneria Marconi, la band di prog italiano che è riuscita a conquistare la più vasta fetta di pubblico all’estero. Seguendo la scuola dei King Crimson, con il cui paroliere Pete Sinfield il gruppo collaborò poi per la realizzazione di album come Photos of ghosts (Manticore, 1973), nel 1972 la PFM pubblicò il suo disco d’esordio e capolavoro, Storia di un Minuto (Numero Uno). Al violino e a dar man forte nella composizione c’era Mauro Pagani, ancora oggi in piena attività con la recente pubblicazione del suo ultimo album di studio (Domani, Nun 2003)

E il violino nel progressive oggi? Cercare band autenticamente progressive oggi nel panorama internazionale non è un’impresa immediata, essendo il genere legato ad un preciso periodo storico. Tra i Sessanta e i Settanta di progressive in musica si è già detto molto, dando basi sufficienti per codificare un vero e proprio genere. Oggi quindi l’alternativa è o partire da uno spirito volutamente derivativo o cercare di inventarsi qualcosa di nuovo, magari imprimendo una matrice prog ad altre influenze musicali. Più difficile la scelta poi diventa se ci si concentra strettamente sulle band dove c’è largo utilizzo del violino. Un esempio significativo è quello degli americani Tarbox Ramblers, guidati da Michael Tarbox, e del loro più recente, fantastico, album, “A Fix Back East”, in cui la band è capace di interpretare un blues spesso ruvido e profondo in chiave contemporanea e di fonderlo con influenze popolareggianti (No night there). E sull’atmosfera dai toni bassi che caratterizza il loro album si muove il violino di Daniel Kellar, capace di accompagnare, uscire e improvvisare mantenendo grande equilibrio.

C’è forse a questo punto da porgere le scuse a tutti quei violinisti che non sono stati citati nella lista, che tra più celebri e meno celebri certo sovrastano numericamente i pochi qui riassunti. Ma pretendere di citare tutti in un quadro in cui molti meriterebbero una monografia da soli è un’impresa piuttosto complessa. L’augurio è quindi quello di aver, se non altro, suscitato la curiosità nei confronti di un genere musicale e, al suo interno, di un modo particolare di viverlo ed eseguirlo, perché a qualcuno venga voglia di spolverare i vecchi vinile e qualcun altro di comprare nuovi dischi, e comunque per una volta di far suonare ancora la musica di allora.


Giulia Nuti

foto Ernesto de Pascale


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