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Intervista a Barry Melton
di Michele Manzotti
In quarant’anni di attività ha suonato con i maggiori personaggi della scena rock californiana su palcoscenici storici come Woodstock, Monterrey e l’Avalon Ballroom di San Francisco. Ma anche su un piccolo palco non perde la sua verve regalando uno spettacolo da scintille. Barry Melton, chitarrista e cantante, già fondatore componente di Country Joe & The Fish, ha regalato a Firenze un'eccezionale serata sul palco del Parterre insieme alla Chicago Blue Revue. La sua storia è tra le più interessanti del panorama musicale americano, perché iniziata in anni di particolare fermento artistico negli Usa: Barry e Country Joe suonano a festival, concerti, happening oltre che in film come The Omega Man, More American Graffiti e in quella che è forse la più famosa pellicola musicale di tutti i tempi, Woodstock. Alcune di quelle storiche session compaiono in una raccolta di recente pubblicazione che porta il titolo di Live at the Fillmore West: tra i tanti ospiti Jerry Garcia, Jorma Kaukonen, Steve Miller, Jack Casady, Mickey Hart. Nel 1969 Barry esce con il primo album solista, Bright Sun is Shining (Vanguard Records), realizzato con il contributo di molti artisti della Wilson Pickett Band oltre che di Donny Hathaway e Phil Upchurch. Gli album pubblicati a suo nome sono ad oggi sette, mentre come session-man ha partecipato alla registrazione di tantissimi dischi, compresi quelli di Mickey Hart, Robert Hunter e Otis Spann. Tra i progetti più recenti di Barry "The Fish" Melton, ricordiamo quelli a nome dei Dinosaurs (1980), la band formata insieme a Spencer Dryden (Jefferson Airplane), John Cipollina (Quicksilver Messenger Service), Robert Hunter (Grateful Dead) e Merl Saunders. A capo di una propria band, nel 1997 Barry pubblica una collection intitolata The Saloon Years. Da qualche anno risiede nella California del Nord, ma non si limita a suonare. Infatti Melton ha esercitato per venti anni l’attività di avvocato penalista, e ricopre attualmente il ruolo di Difensore d’ufficio nella Contea di Yolo, sempre in California. Prima di salire sul palco gli abbiamo rivolto qualche domanda
Può spiegarci come è nata la sua esperienza musicale?
Tutto è capitato a San Francisco, la mia città, quando Joe McDonald ("Country Joe") e io ("The Fish") avevamo formato il gruppo in cui facevamo musica acustica ispirata alle battaglie per i diritti civili. Il nostro primo disco fu un Ep autoprodotto con quattro brani, fra cui due nostri e due di un altro folksinger, dedicato alle dimostrazioni contro la guerra del Vietnam e una feroce satira contro il presidente Usa del momento, Lyndon Johnson. Eravamo nel 1965, un sacco di gente ascoltò il disco che ebbe un ottimo successo. Così decidemmo di trasformarci in un vero e proprio gruppo elettrico nel 1966 con il quale producemmo un secondo Ep che a sua volta vendette tante copie (più di quanto ci aspettassimo) con riconoscimenti a livello nazionale. Così alla fine approdammo alla Vangiard records nel 1967. Proprio in tempo per la nostra partecipazione al festival di Monterrey.
Proprio Monterrey fu tra i primi festival musicali oggi riconosciuti come evento. Ma cosa voleva dire allora salire su quel palco?
Noi eravamo parte di un gruppo che viveva nella California del Nord, e il festival era proprio nella nostra zona. Fu un'occasione per noi e per tutte le band dalla Bay area che stavano nascendo come i Jefferson Airplane, Grateful Dead, i Big Brother and The Holding Company dove c’era Janis Joplin, di avere un’attenzione nazionale pur restando nella terra in cui vivevamo. E per raggiungere Monterrey si mossero anche gruppi della Califiornia del Sud come i Mamas and Papas e i Canned Heat, ma anche Jimi Hendrix che veniva da Seattle e addirittura gli Who dall'Inghilterra. Anche Hendrix e gli Who (che poi suonarono anche a Woodstock) capirono quanto importante era suonare lì.
Woodstock cosa significa per lei? Rappresenta qualcosa di speciale come per noi che in quanto pubblico lo conosciamo grazie ai dischi e al film?
35 anni dopo, Woodstock rappresenta un fatto positivo e uno negativo. Nel primo caso va ricordato che è stato il più affollato raduno di giovani che si ricordi, forse il più importante della storia americana anche perché eravamo nel mezzo della guerra del Vietnam contro la quale c'era una forte mobilitazione. Essere una parte di questo grande avvenimento, stare lì con tutti loro, suonare su quel palco è sicuramente stato qualcosa di veramente speciale. Ma fu anche l’ultimo festival musicale non-strutturato: questo vuol dire che non c’era una vendita di biglietti per posti a sedere, e non c’era un vero servizio di sicurezza, con i ragazzi che si piazzarono nelle tende per tre giorni per assistere ai concerti. Da un punto di vista finanziario fu un vero disastro, anche per noi che suonavamo e che non eravamo pagati. Però al di là di questo i governi delle città capirono che non potevamo controllare un movimento del genere nonostante la mobilitazione di poliziotti, medici o altro personale. Per questo motivo dopo Woodstock tutti i grandi eventi sono stati stutturati in stadi o aree delimitate dove le persone possono essere controllate. Woodstock fu purtroppo l’ultimo di tanti eveneti non-strutturati ai quali ho partecipato: le persone adavano e venivano, non c’erano regole e questo lo trovavo un fatto positivo.
Forse anche uno degli ultimi eventi in cui musicisti di varia estrazione dividevano momenti in comune?
Esattamente, ma mi preme dire che non c’era nemmeno una barriera con il pubblico e questo ha fatto sì che lo ricordi come l'ultimo evento bello, felice e gioioso a cui ho partepicato. Dopo abbiamo perso l'innocenza.
Lei ha collaborato con tanti musicisti di altre formazioni, ricordiamo il nome forse più eclatante di Jerry Garcia dei Grateful Dead...
Purtroppo Jerry è morto anni fa, anche se il gruppo continua ad andare avanti. Un musicista che mi piace ricordare e con cui ho lavorato fino alla fine dei suoi giorni è John Cipollina, con il quale eravamo molto amici. E' un peccato che abbiamo perso tanti musicisti di quella generazione lungo gli anni. Pensiamo a Janis Joplin, che ritengo la più grande musicista venuta fuori da San Francisco, e a distanza di qualche anno se ne sono andati tanti altri per vari motivi. Fortunatamente i Country Joe and the Fish sono vivi, anche se non tutti suoniamo.
Adesso lei è un avvocato che si occupa di diritti civili. Siamo curiosi di sapere cosa pensa del panorama politico internazionale dopo aver passato gli anni della gioventù a combattere, grazie alla musica, contro la guerra nel Vietnam.
E' vero, noi ci mobilitammo 35 anni fa per fare smettere una guerra. Ma quando vedo la situazione attuale, a volte mi chiedo se sono riuscito a far qualcosa in tutti questi anni. Sembra non sia cambiato niente. D'altro canto è stato molto bello venire qui in Italia e notare le bandiere della pace alle finestre, comprendendo così come sia importante la voglia di non combattere con le armi. Questa guerra in Iraq è immorale e sbagliata tanto quanto lo era la guerra nel Vietnam. Vorrei tanto che i giovani di oggi si mobilitino così come la mia generazione ha fatto per dire no alla guerra del Vietnam. Tutti dovrebbero essere mobilitatti non solo contro le guerre, ma anche contro il disastro ecologico, i prezzo del petrolio sempre più alto e tutti quei problemi che ci riguardano da vicino. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è quella di sparaci l’un l’altro. Spero che la giovane generazione di oggi sia ben motivata a far smettere tutto questo.
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