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Soft Machine – Live in Paris, may 2nd, 1972
(cuneiform)
www.cuneiformrecords.com


A cavallo fra il 1971 e il 1972 i Soft Machine dovettero passare sotto le forche caudine di molti cambiamenti. Nell’agosto 1971 Robert Wyatt lasciò il gruppo per dedicarsi a nuove avventure (Matching Mole,album solista “ end of an ear “, Centipede) e l’attenzione di Hugh Hopper, Mike Ratledge e dell’ultimo entrato, il sassofonista Elton Dean, si focalizzò su John Marshall che con dean aveva già partecipato alle sedute di “Dedicated to you but you weren’t listening “ (vertigo, poi ristampe Repertorie e Akarma) del pianista Keith Tippett. Marshall era però in Europa con la Jack Bruce band (vedi inizio del mio articolo su Jack Bruce) e i tre ripiegarono su Phil Howard, un bravo allievo del già leggendario battarista jazz britannico Phil Seamen. Questa formazione si riunì in studio prima del Natale 1971 per iniziare a incidere il seguito di “Fourth”, un disco molto amato nell’Europa Continentale. Howard permise a Dean di prendere in mano la situazione e condurre il gruppo verso territori a lui più consoni, quelli che avrebbe poi esplorato più a fondo nell’album solista “Just us “. ll concetto di un ensemble dedito a una ricerca verso i territori più “free” del jazz-rock non aggradava Hopper e Ratledge i quali dal canto loro desideravano mantenere una ancora che li tenesse attraccati a quegli sviluppi tematici e strutturali che la formazione aveva così tenacemente sviluppato dal terzo al quarto disco. Non arrivò Natale che Howard era già stato invitato a fare le valigie (la sua testimonianza resta la prima facciata di “Fifth”) da Hugh e Mike, che non consultarono – pare – Elton, “l’ultimo arrivato“, in previsione di una futura disponibilità di Marshall dopo il fallimento della tournee di Bruce e Graham Bond.
L’ingresso di Marshall nei Soft Machine fu per Elton Dean un segnale che i suoi giorni, ma soprattutto le sue idee musicali, avevano in quel tipo di gruppo, i giorni contati.
Questa formazione dei Soft (Hugh Hopper al basso, Mike Ratledge alle tastiere, Elton Dean ai sax e al piano elettrico e John Marshall alla batteria) ebbe infatti vita breve lasciando dietro di sè solo la seconda facciata dell’album “Fifth“ ma ricordi leggendari in Europa continentale dove l’ ensemble si esibì da metà Aprile a metà Maggio 1972, suonando in Italia e in Francia.
La breve tournée italiana, la prima nel nostro paese, contribuì a rendere il gruppo negli anni a venire, uno dei più amati dal nostro pubblico e il Movimento Studentesco pubblicò, all’epoca, una registrazione del concerto che questo line up tenne a Milano presso il Teatro Lirico (?), producendo così il primo bootleg nostrano a tutti gli effetti.
In Francia le cose andarono diversamente poiché la formazione parlava a un pubblico musicalmente più preparato e a un mercato più vasto e culturalmente più abituato alla sperimentazione, a cui la radio nazionale offriva spazi settimanali.
Il concerto in questione, registrato all’ Olympia di Parigi è quindi un documento sonoro eccezionale per entrare in contatto con un segmento di vita dei Soft Machine tante volte descritto in maniera leggendaria ma controversa. Conoscendo le dinamiche interne al gruppo l’ascolto di questo doppio cd della americana Cuneiform affascina ancor di più. John Marshall, appena entrato tiene le redini del gruppo, Dean è pronto a fare anche lui le valigie, Ratledge e Hopper suonano introversi quasi in ripiego, producendo la parte più oscura del sound del gruppo, con il totale diniego di qualsivoglia riferimento ai brani di “Fourth”, più completi e sfaccettati, lasciando invece posto a un genere – solo a tratti – più free freak jazz rock oriented.
Nelle note del disco il giornalista Aymeric Leroy afferma che lo scioglimento di questa line up sarà il seme della graduale disintegrazione del gruppo egli anni a venire ma, memore in prima persona di almeno quattro concerti negli anni a venire, il recensore afferma che aria di abbandono se ne sentì solo a ridosso della loro ultima tournée italiana quando alla chitarra non c’era più neanche Alan Holdworth ma Jon Ethridge.
L’anno successivo il gruppo sarebbe tornato in campo con Karl Jenkins (ex Nucleus) al posto di Dean per un concerto più delineato, molto lontano da ciò che ascoltiamo in questo cd che ricopre perciò un importante ruolo nella riproposizione della storia del gruppo di Canterbury.
Oggi che i Soft Works vedono riuniti Hopper, Dean e Marshall (più Holdsworth) viene quindi da pensare che quei pochi mesi insieme seminarono in quei musicisti un germe che avrebbe impiegato 30 anni a crescere e che rende ancora più affascinanate l’ascolto di questo album.

Ernesto de Pascale



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