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Azita: la dimensione musicale
Spero non me ne vogliate, ma per una volta vorrei partire da lontano. Perché sono curioso, e perché mi ha molto colpito la musica di questa autrice di Chicago.
Due dischi, reperibili anche in vinile per gli appassionati a suo nome, un terzo a nome della band che guidava fino al 2002 (Bride Of No No, programmaticamente pubblicato dall’etichetta Atavistic). Una manciata di canzoni in tutto, sufficienti per provare a ridisegnare una genealogia musicale che depone le radici in una dimensione che credo possa aver influito in modo determinante nella creatività di questa artista contemporanea. Assolutamente contemporanea.
In primo luogo il discorso potrebbe partire, come accadeva per Omara Portuondo qualche settimana fa, dalla consapevolezza di voler trattare la forma canzone, declinandola a piacere in funzione delle coordinate estetiche e del percorso biografico quando non geografico. Azita cerca nella canzone gli elementi che le appartengono, che hanno determinato la sua crescita, la sua evoluzione di testimone della scena musicale di una città centrale per la trasformazione musicale del panorama rock (ma non solo) statunitense. Chicago è, quanto e forse più di New York, la città della ricerca musicale soprattutto per quello che riguarda la scena dell’improvvisazione: basti pensare a cosa è stata l’AACM per tutti gli anni ’60 e ’70, per arrivare ancora attiva e lucida ai nostri giorni con musicisti come Chad Taylor, il vecchio Fred Anderson, o ancora il magnifico Wadada Leo Smith. A questi si devono aggiungere musicisti come Jeff Parker, John McEntire o Rob Mazurek, vale a dire nuova generazione di strumentisti ed organizzatori musicali interessanti ed innovatori (si pensi almeno al progetto cangiante del Chicago Underground Trio-Duo-Orchestra) e, per quello che ci riguarda oggi, collaboratori di Azita nei suoi lavori solisti.
Dunque Azita Youssefi, che arriva con Life on The Fly al suo secondo lavoro solista (Drag City, come il suo primo Enatiodromia) milita nelle file della nuova musica di Chicago, che si nutre della dimensione urbana stessa, fatta di conflitti, di rapporti di forza, di innovazione tecnologica ed architettonica, di ghetti e ricerca musicale alimentata dalla contrapposizione sociale (si torni a pensare ancora una volta alla dimensione findante dell’estetica politica e musicale dell’AACM). Una dimensione che innerva tutta la produzione musicale attuale della scena contemporanea di Chicago, che tradizionalmente si esibisce dal vivo all’Empty Bottle, un locale gestito dal patron dell’etichetta leader dell’area, l’Atavistic, dove la stessa Azita suona, sembra, abbastanza frequentemente.
A queste traiettorie vanno aggiunti poi gli amori musicali della nostra protagonista, amori che credo possano aiutare ad inquadrare il suo lavoro e la sua ricerca musicale: uno fra tutti, Ray Charles, di cui possiamo leggere un ricordo proprio nel sito che ci racconta il percorso artistico di Azita ( HYPERLINK "www.azita.info/" www.azita.info/).
Un equilibrio sapiente tra rock underground ed improvvisazione, tra radici musicali della città del vento e ricerca armonica, tra trasandatezza consapevole e guizzi ironici: questo e altro è la musica di Azita. Per me una scoperta appassionante.
Enrico Bianda
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