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Tori Amos
Parco di Villa Solaria (Sesto Fiorentino), 6 luglio 2005
Sono lontani i giorni in cui Tori Amos cercava di far sua la scena losangelina con improbabili acconciature cotonate ed un quintetto glam-rock, gli Y Kant Tori Read, sepolti con un certo imbarazzo subito dopo. Da molto tempo il mondo la conosce sotto le vesti di enigmatica ed intensa cantautrice, una figura coltivata con piccoli gioielli di album come Little Earthquakes, Under the Pink e Boys for Pele. Di più, la Amos ha anche il merito di aver rilanciato il pianoforte come strumento rock, ed è allo stesso modo l’iniziatrice di tutto quel cantautorato femminile che ha alzato la testa durante gli anni ’90. Una figura senza dubbio importante, che però ultimamente morde meno a causa di recenti prove di studio che si sono rivelate troppo ambiziose, troppo lunghe, e generalmente schiacciate dal peso di una seriosità che lentamente ha preso il posto dell’intensità mostrata in passato. O, per dirla più semplicemente, le sue canzoni hanno subito un graduale calo di qualità. È sulla base di queste considerazioni che si giustifica la curiosità legata alla sua apparizione dal vivo a Sesto Fiorentino.
In apertura c’è però Tom McRae, giovane cantautore inglese di talento il cui destino sarà quello comune a tanti supporter, un quasi totale disinteresse da parte del pubblico. Non sorprende che canzoni tanto intime e quiete, rese sul palco con una semplice chitarra acustica ed una viola, fatichino ad imporsi in spazi tanto ampi, ma rimane penoso il disinteresse con cui un gran pezzo come The Boy With the Bubblegun viene ignorato. La cornice di Villa Solaria è comunque splendida come sempre, e la stessa Tori ad inizio concerto si presenta dicendo di non aver mai suonato in mezzo a tanto verde.
Una scaletta inusuale anima così un concerto che sarà un susseguirsi di interminabili virtuosismi, con la Amos che suona freneticamente da un piano all’altro. Mancano tanti cavalli di battaglia, scelta che denota coraggio, all’appello rispondono solo Past the Mission (intensa ma con qualche imperfezione pianistica di troppo) e Little Earthquakes, ma ci sono anche i brutti scivoloni di Barons of Suburbia, Cars and Guitars e Jamaica Inn, pezzi tratti dall’ultimo album The Beekeper in cui Tori vuole evidentemente muoversi in territori più easy e disimpegnati, senza particolare successo né credibilità. Pecche che sono riscattate da Virginia e Purple People, forse le interpretazioni vocali più toccanti della serata, ma non spiacciono neanche le cover, richieste dai fan su internet: se Running to Stand Still degli U2 rimane sostanzialmente fedele all’originale, Like a Prayer di Madonna nelle mani della Amos guadagna un’ulteriore e gradita carica drammatica.
Bernardo Cioci
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