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Torino Free Music Festival
Torino, 2 luglio 2005
Anche quest’anno il Torino Free Music Festival ha dimostrato di essere un importante evento musicale. Pochissime città possono vantare una quattro giorni totalmente gratuita, tantomeno capace di proporre artisti del calibro di Bright Eyes, Throbbing Gristle, 808 State e New Order. Se la scorsa estate il gemellaggio ideale fu con un’altra motor city come Detroit (culminato nell’esibizione dei riformati Stooges), quest’anno l’attenzione si è spostata su un’altra città industriale, Manchester, e alla sua ricchissima scena. A questo proposito la giornata clou è stata quella del 2 luglio, in cui la parte del leone l’ha fatta Tony Wilson, fondatore della storica Factory Records e più in generale l’uomo che per un buon decennio ha mosso le fila di tutta la Manchester musicale. Si parte così di pomeriggio, con l’attesa visione di 24 Hour Party People, film di Michael Winterbottom che racconta l’epopea della Factory tramite gli occhi di Wilson stesso, peraltro anche autore del libro da cui la pellicola prende spunto. Uscito in UK nel 2002 e mai distribuito da noi, è un film costruito con ritmo e passione, coadiuvato da una colonna sonora eccezionale e dall’interpretazione di un’attore come Steve Coogan, che apporta a Wilson tutto il cinismo e la visionarietà del personaggio. Tutti gli eventi legati alla scena musicale di Manchester (l’arrivo dei Sex Pistols, la morte di Ian Curtis, l’apertura della discoteca Hacienda, fino alla rapida ascesa degli Happy Mondays e tutto il turbine di ecstasy ed acid house denominato “Madchester” dalla stampa inglese) si susseguono grazie ad uno stile ironico e frenetico, perfettamente in linea con lo spirito dell’epoca. 24 Hour Party People può essere considerato sia una piccola lezione di storia che una godibile commedia inglese, e questo suo valicare la categoria del film di genere gli ha permesso in patria di rivolgersi ad un pubblico più vasto. Unico neo la presenza di sottotitoli, non certo un male, ma la conferma che sperare in una distribuzione ufficiale sia ormai fuori luogo. Finita la proiezione ci spostiamo al Parco della Pellerina, spiace perdersi i Jaga Jazzist ma l’incertezza sull’orario e la lontananza dello Spazio 211 inducono alla prudenza, del resto la possibilità di vedere dal vivo gli 808 State è di quelle che non ricapiteranno tanto spesso. Un nome, questo, che significa molto per gli appassionati di techno e poco per tutti gli altri, un suono duro e diretto, quasi un antidoto per coloro che non amano la distanza emozionale di molta elettronica. Chitarra, basso e batteria, per una sorprendente reincarnazione della creatura di Graham Massey e Martin Price. Lontani i tempi dell’abrasività e della precisione metallica di album pionieristici come Newbuild, 90 e Ex:El, gli 808 State del 2005 restano un’esperienza viscerale, ma si avvicinano maggiormente all’elettronica “organica” degli Orb, dilatando i ritmi e dotandoli di una presenza strumentale forte. Davvero una sorpresa. Dopo è la volta dei New Order, piatto forte della giornata, introdotti sul palco proprio da Tony Wilson in carne ed ossa: Bernard Sumner, Peter Hook, Stephen Morris e il neoarrivato Phil Cunningham. Molte magliette scolorite dei Joy Division non minano lo spirito di un gruppo che nonostante gli anni continua a guardare avanti. A quelle magliette e alla loro voglia di nostalgia sono destinate Love Will Tear Us Apart, She’s Lost Control, Atmosphere e Transmission, attese come la manna dal cielo, ma la voce di Ian Curtis resta insostituibile e gli sforzi di Sumner, pur commoventi, cadono decisamente a vuoto. Molto meglio il resto, dove i quattro fanno capire come sia stato possibile trascendere ed ampliare un retaggio stritolante come quello di Curtis. Bizarre Love Triangle, True Faith, Everything’s Gone Green e Temptation pulsano ancora di quella rivoluzionarietà che, lascito del punk, portò ad unire la dance con il rock per creare un corpo d’opera capace di stare comodamente in entrambi i campi. Anche i pezzi più recenti (Crystal, Krafty, Waiting For the Sirens’ Call), pur senza possedere lo stesso impeto fanno una buona figura, e in chiusura persino l’iperabuso della definitiva Blue Monday, in questi tempi di revival anni ’80, non ne ha intaccato il valore mitologico. Altro spostamento, a mezzanotte passata, per il gran finale dei Murazzi: da Giancarlo mettono dischi nientemeno che Tony Wilson ed un irriconoscibile Shaun Ryder, e nella selezione spicca una tremenda versione lounge-soul di Love Will Tear Us Apart, a conferma che gli eroi non difettano di autoironia. L’atmosfera è comunque troppo rilassata e sembra di assistere ad una vecchia riunione di amici fra cui non corre buon sangue. Molto meglio Graeme Park e Mike Pickering, due DJ storici dell’Hacienda, che al The Beach fanno rivivere quell’incredibile mix di new wave, acid house e techno che rivoluzionò i sentieri sonori di Manchester prima e di tutta la scena inglese subito dopo.
Bernardo Cioci
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