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Jethro Tull – Villa Solaria, Sesto Fiorentino
12 luglio 2005




Quello che i Jethro Tull ancora oggi propongono dal vivo è proprio un bello spettacolo, uno di quelli che chiunque almeno una volta nella vita dovrebbe togliersi la soddisfazione di vedere.
La scaletta che Anderson e soci presentano si concentra, come prevedibile, soprattutto sui grandi successi, ma riescono ad elaborarla con grande vitalità ed energia, dimostrando di aver conservato nel tempo la loro attitudine a stare sul palcoscenico. Basti citare ad esempio uno Ian Anderson in perfetta forma fisica che sempre fedele negli anni al suo look un po’ freak e un po’ silvestre si scatena sul palco come un folletto, esibendo le pose da equilibrista che lo hanno reso celebre con la stessa prestanza di un tempo e, soprattutto, suonando da vero professionista. Tutti sul palco gli fanno compagnia per stile e competenza, dal braccio destro Martin Barre all’eclettico tastierista Andrew Giddings.



In tutti questi anni queste vecchie volpi del rock inglese si saranno anche annoiati di suonare sempre gli stessi successi tournee dopo tournee, si riflette seguendo il concerto, nonostante che per i fans – ma un po’ per tutti - questi siano tutt’oggi intramontabili, e che Anderson abbia intercalato l’attività di musicista con quella di allevatore di salmoni. E la soluzione infatti è a portata di mano: non una semplice riproposizione dei brani così come il pubblico li conosce sui dischi, ma una costante interpretazione in cui si reinventano le linee melodiche della voce, i tempi, gli arrangiamenti, si inseriscono nuovi stacchi. Tutta una serie di piccoli dettagli che fanno sì che, pur nell’ambito di un concerto evidentemente a portata del grande pubblico e in cui non si risparmiano i brani conosciuti, il loro set includa costanti sprazzi di novità e sia intrigante sia per il critico che per chi li ha visti dal vivo un milione di volte. Gli stessi musicisti sul palco dimostrano grande libertà, dinamicità nell’interpretazione ed un’ espressione divertita sul volto che mette subito il pubblico di buon umore. C’è posto per molti dei brani tratti dall’album Aqualung, dalla title track all’ottima accoppiata Cheap Day Return-Mother Goose, eseguite, come per diversi brani del concerto, in una interessante veste acustica. Un’ abito abbastanza acustico riveste infatti tutto il loro spettacolo, con Anderson che si divide tra il virtuoso flauto e la chitarra acustica, Barre che oltre all’elettrica imbraccia il mandolino, Giddings che all’occorrenza si destreggia tra fisarmonica e penny whistle e il batterista Doane Perry che proprio su Mother Goose lascia la batteria per le percussioni. Naturalmente non vengono esclusi dalla scaletta brani come Thick as a brick, A new day yesterday, Boureè, lasciando spazio però anche per Serenade to a Cuckoo di Roland Kirk.



Come bis, per concludere, due brani che molti tra il pubblico aspettavano dall’inizio, cioè My God e Locomotive Breath, più gli ormai abituali palloni giganti. Un concerto che è una bella dimostrazione di come il gruppo, oggi più adulto e che si rivolge in parte a un pubblico più adulto – solo in parte, perché a onor del vero sono moltissimi i giovani che lo seguono e molti quelli accorsi per vederlo dal vivo – non abbia perso autorevolezza.

Giulia Nuti


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