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The Magic Numbers -The Magic Numbers
(Heavenly/Emi)
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A consolatin’ beautiful debut album

Si è sentito molto parlare di The Magic Numbers negli ultimi mesi ma non si è ascoltato abbastanza per poterli decifrare a fondo.
Essi sono un quartetto londinese, guidato dall’esiliato del Trinidad Romeo Stodart e composto dalla sorella Michele e dalla coppia Angela e Sean Ganon. The Magic Numbers è una band dal suono inconfutabilmente e melanconicamente britannico, che richiama la new wave dei primi ottanta con il basso in primo piano e pennellate di chitarre con l’effetto delay in bella mostra. Uno stato di indecisione gioca a loro favore; non sai mai se ti ricordano XTC, Jesus & Mary Cain, i misconosciuti Unbelieveble Truth o che altro. Vocalmente – ed è qui la loro principale originalità – il gruppo propone però un impasto di stile americano, dal “retrogusto” smaccatamente westcoastiano che ci fa fare un passo indietro fino a The Mamas & The Papas. L’aspetto musicale a fronte di quello vocale crea, quindi, un contrasto che ha spinto certi recensori a definirli il gruppo più interessante del 2005 e a parlare di un album d’esordio “imperdibile”.

“The Magic Numbers “ è un buon disco, è vero, ma è presto per parlare di fenomeno. Nel disco confluiscono, infatti, tante, troppe influenze per spiattellare un’originalità che è – spesso – solo il frutto di tanti differenti “ascolti” sovrapposti e montati a strati.
Questa limitazione non toglie niente a una certa magia che The Magic Numbers offre al suo ascoltatore in qualità di musicisti, già, consumati.

Il gruppo inglese non eccelle – a parere del recensore – nei brani veloci in cui costringono i tanti, influenti, rimandi a riversarsi in una sola direzione, dettata dall’incedere ritmico invece che dalle raffinatezze di cui il gruppo è capace, senza essere troppo focalizzati, come in “Long Legs” che è un mezzo pasticcio.

Vanno meglio The Magic Numbers nei numeri diradati e arpeggiati come nella lunga sequenza iniziale di tre brani (“Mornings Eleven“, “Forever Lost”, “The Mule“) in cui le dinamiche si abbassano ed alzano come onde.
Il gruppo suona le chitarre come Fred Neil e Tim Buckley in “which way to happy“, forse il brano meglio riuscito della raccolta, dal bel, dinamico, svolgimento e da un groove intenso e profondo.
In “i see you, you see me”, vengono a galla i Velvet, un po’ di Joy Division, con un coro in coda al brano che farebbe orgogliosi i Prefab Sprout.
In “This love” all’arpeggio iniziale, che sembra uscito da “Forever Changes” dei Love, si sostituisce uno xylofono che introduce un triste violino. Gli strumenti e le voci guidano il brano verso un crescendo, contrapposto a un onirico coro, che conferisce all’intera canzone un effetto intenso e melanconico.
Il rigore e l’intimità regnano nella parte conclusiva dell’album. Un tono “antico “ fa capolino anche in canzoni più “leggere” come l’accattivante “love ìs a game”, very english, very Prefab Sprout!.
Da non perdere “Hymn for her” e la sua ricca parte finale.

The Magic Numbers si troverebbero bene e a loro agio con gli esponenti della nuova onda losangelina del westcoast sound revisited: Beachwood Spark, Late Night Radio, Mystic Chord of Memory, The Tyde (che infatti ricordano Echo & the Bunnymen) e alcuni della nuova onda cantautorale – da Ed Harcourt a Richard Hawley, da Jay Farrar a Ray La Montagne. Restano, per loro fortuna, in ogni caso, un gruppo originale e molto, molto inglese.

Segnalati dai fratelli Gallagher che si stano imponendo come A&R di buon gusto, se mai la loro carriera dovesse fare cilecca, per The Magic Numbers si è parlato di “melodic, soft pop” ma quel che ci sembra più reale è che l’album di The Magic Numbers eccelle perché non ha il sapore del disco nuovo di zecca ma della bella musica che è stata ascoltata e riascoltata tante volte e poi riposta per fare bella mostra di se quando serve conforto.

Ernesto de Pascale

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