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José González - Veneer
(Peacefrog)
www.jose-gonzalez.com




Ad occhio e croce la storia di José González sembra quella di un uomo fuori posto, geograficamente (è nato e vissuto in Svezia anche se il nome indica chiare ascendenze sudamericane) ma anche discograficamente, dato che il suo album di debutto è stato appena ristampato da un’etichetta nota in ambito elettronico. Su Veneer di elettronico non c’è niente, solo la quieta voce di José e la sua chitarra classica, eppure sembra che proprio gli appassionati di techno siano stati i primi a far circolare il suo nome. Siamo dunque di fronte ad un nuovo pupillo del neofolk, accostato a Nick Drake come a Joao Gilberto per via delle tentazioni bossa che fanno capolino nel suo fingerpicking. Due maestà senza dubbio, lui però continua a ripetere che la sua prima ispirazione sono i Joy Division e noi ci limitiamo a toglierci il cappello, aggiungendo che sarebbe più centrato il paragone con un Elliott Smith privo di ossessioni beatlesiane e assolutamente fuori fuoco quello con i salottieri Kings of Convenience, giusto per rimanere ai due nomi che si leggono in quasi tutte le sue recensioni. In realtà José è un atipico del folk come può esserlo Terry Callier, e come lui unisce stili che si pensano lontani. Veneer è pervaso da un’inquietudine sottile, e la sua forza risiede nel contrasto con la solarità latina che si agita nel DNA di questo 27enne nato a Goteborg. Meno prosaicamente, González riesce a mediare forme folk d’estrazione nord e sudamericana entro una sensibilità prettamente europea. Remain è così una bossa non lontana dallo stile malinconico di Caetano Veloso ai tempi dell’esilio inglese, Hints sposta l’equazione verso un delicato blues acustico e la conclusiva Broken Flowers trae linfa dalla spaziosità del folk appalachiano. Ma è nei tre capolavori della raccolta – Lovestain, Deadweight on Velveteen e All You Deliver – che emerge la sua vera voce, uno stile intenso e scarnissimo che non è riconducibile a modelli o riferimenti geografici precisi. Mentre l’album si prende l’attenzione che merita, le recensioni degli ultimi concerti di José lo celebrano senza riserve, soffermandosi su alcune cover (di Kylie Minogue, Massive Attack e addirittura Bronski Beat!) che, pare, nelle sue mani acquistano una trascendenza inedita. Ce ne rallegriamo, sperando però che il ragazzo continui ad affinare la propria scrittura. A giudicare dalla bontà del materiale di studio sarebbe un peccato sprecare un simile talento.

Bernardo Cioci

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