The thousand faces of our lives’ movie. Don’t miss it!
La vita non è un film. O forse sì.
Chiedetelo a Will Sheff, ragazzo biondo con la faccia pulita che ha guidato i suoi Okkervil River a conquistare, in un batter d’occhio, un posto di rilevo nella scena rock internazionale. Forse vi risponderà che è un po’ entrambe le cose.
Il nuovo album degli Okkervil River, “The Stage Names”, si apre con il brano “Life is not a movie or maybe”, ed è l’inizio di un disco che è un bis qualitativo, rispetto al precedente, che sulla carta sembrava difficile ma che in pratica non lo è stato.
Il precedente album “Black Sheep Boy” era stato acclamato come uno dei migliori album indie del 2005 e aveva portato il gruppo al grande salto di qualità su larga scala, tanto che non sembrava facile replicarsi o fare meglio.
“The Stage Names”, invece, è un album riuscitissimo: affascinante, completo, in cui la vena creativa di Will Sheff si dimostra capace di aprirsi verso territori sempre nuovi.
L’incipit è deciso, a tinte forti, con tre brani in fila che guardano all’indie-rock internazionale, e che spianano la strada alla prima ballata più intima che arriva con “Savannah Smiles”.
Il confine tra la realtà e la fantasia spesso sfuma, in un susseguirsi di testi che raccontano volti e storie di personaggi immaginari raffigurati come nel mezzo delle riprese di un film. Questo senza che lo sguardo si perda del tutto dentro la finzione, perché Will è capace di presentarci le sue canzoni anche come flash vissuti da fuori, ci racconta la trama senza renderci parte del film. Come quando in “A hand to take hold of the scene” ci fa sapere: “I’m a band in a show about a boy being buried alive, from his head to his toes, by a criminal – but with a sensitive soul!- with a set of raccoon eyes, and there’s this scene in the show….”.
Non ci resta neanche l’illusione che si sia qualcosa di vero, ciò in cui siamo immersi è soltanto un artistico gioco di fantasia.
Poi ci si accorge di una foto nel libretto, di un’ insegna, ritrae il Red Lion Hotel, la “H” è spenta, il neon non si accende più. Forse è lo stesso Red Lion delle prime linee di testo dell’album, da “Our life is not a movie or maybe”: “It’s just a bad movie, where there’s no crying – handing the keys to me in this Red Lion…”. E l’equilibrio tra vero e finto viene sconvolto di nuovo.
Questo succede dall’inizio alla fine dell’album, che è un susseguirsi di storie incredibili in equilibrio tra narrativa e poesia (perché i testi nel libretto sono scritti per esteso come una storia, ma calzano sulla musica alla perfezione).
Gli altri componenti del gruppo aggiungono il loro al mix, suonando bene, arrangiando i brani, sfoderando varietà sonore.
La conclusione del disco è una parodia di Sloopy John B. dei Beach Boys, con un John Allyn Smith che fluttua nel fiume, verso “casa”, dopo essersi gettato da un ponte della Washington Avenue.
Lasciando da parte altre speculazioni teoriche, Will Sheff ha evidentemente qualcosa che gli altri non hanno. E’ un autore di testi che - più o meno consciamente - ha costruito una modalità espressiva che è solo sua, un modo particolare di sposare testo e (bella) musica, una via per creare personaggi incredibili e farli vivere sospesi tra realtà e fantasia.
Ecco perché, cosa accomuna la vita e un film, sarebbe interessante chiederlo a lui.
Giulia Nuti
|
Track List
Our Life Is Not A Movie Or Maybe
Unless It Kicks
A Hand To Take Hold Of The Scene
Savannah Smiles
Plus Ones
A Girl In Port
You Can't Hold The Hand Of A Rock And Roll Man
Title Track
9. John Allyn Smith Sails
|