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The Green Man festival 2008 Laura Marling Può accadere allora che fenomeni come i californiani Howlin’ Rain, dal suono compatto e psichedelico, siano snobbati per la pioggia nonostante attesissimi in favore di un emergente Peter Greenwood che ha raggiunto con un sol singolo le pagine delle più autorevoli riviste inglesi grazie al suo mood intimista e magico che ricorda Nick Drake. Peter Greenwood Stranezze del Green Man festival: una macchina oliata in soli 5 anni anni, migliaia di volontari, numero chiuso dei partecipanti (diecimila più qualche migliaia di bambini), 3 palchi live, altrettante tende o eventi collaterali che vanno dalla letteratura al dj kart a Andy Votel che suona solo psichedelia argentina a notte fonda. Merchandising impressionante, stand culinari da fare invidia ai gran gourmet dell’Unità di una volta - qui manca solo il Giotto della Porchetta e poi la festa di piazza con le sue luci colorate sarebbe completata, il tutto per la modica cifra di 105 pound e 10 per la tenda. La migliore notizia per noi è che in mezzo a tutto questo bendiddio hanno svettato i nostrani Jennifer Gentle sul palkco centrale, fautori do un freakbeat speciale che il pubblico locale ha gradito restando a bocca aperta davanti al linguaggio che il gruppo impugna deciso. Dopo il set al Green Man Cafe (il posto che fa tendenza e dove più si beve, riparati) non si parlava d’altro. Per i Jennifer Gentle ha vinto la perseveranza e la pazienza. La stessa di un pubblico che non si è scomposto davanti all’uragano perdendo il ben della ragione solo nel bel mezzo del furioso set di Richard Thompson e durante quello dei brooklyniani O’Death, versione Pathanka dei The Felice Brothers. Jennifer Gentle La domenica infine, quando molti erano impegnati a tentare di uscire dal pantano The Accidental, un quartetto vocale con membri dei Unno e ha licenziato un set misurato e accorato guidati dalla bella voce del mulatto. The Accidental Prima di loro Alison O’ Donnell, ex Mellow Candle, aveva raccolto un personale successo esibendosi con gli esordienti The Howl Service in un set di oscuro folk velata da influenze prog. The Howl Service Quel che è molto piaciuto quest anno è un ritrovato stile Troubadour persosi dopo le prime due edizioni a causa di uno spirito di emulazione tipico di chi vuol emulare scenari trascorsi e oggi riapparso - per dire il migliore - in Pete Molinari, “da Chatham“ dice subito al microfono per fugare dubbi su chi lo dava già come figlio dell’Est Village. Molinari ha tutta l’aria del classico menestrello romantico newyorchese, senza esserlo. Altrettanto bene Jane Weaver, novella Mimi Farina alla quale si è unita la romana Emma Tricca (il suo secondo album esce in inverno per la Finders Keepers ed è straordinario!) per un finale che riportava dritti dritti a Newport 1964. |
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