Darrell Scott is one of travelers from the American alternative country scene and The Invisible Man, his new album, is a little surprise. His songwriting remind us Lyle Lovett and John Prine but his sound mix influence from folk, blues and country in a very original and personal style.

Nativo del Kentucky ma da anni ormai residente a, Darrell Scott, è uno dei più apprezzati session man della scena roots, vantando trascorsi eccellenti al seguito di Steve Earle (spesso parte delle session acustiche con i Dukes), Guy Clark, Sam Bush (che ritroviamo nel disco come ospite). Apprezzato per il suo stile molto versatile, che gli è valso anche la palma come miglior songwriter di Nashville nel 2001, è riuscito nel corso degli anni a mettere in piedi una piccola ma apprezzatissima etichetta indipendente, la Full Light (distribuita dalla Ryko) e a ritagliarsi una posizione di tutto rispetto nella scena roots. E mon è un caso che al disco partecipino il meglio dei session man di Nashville come dimostra la presenza di Danny Thompson al basso e Kenny Malone alla batteria ma soprattutto le partecipazioni di Richard Bennett alla chitarra, e di Sam Bush e Tim O’ Brien ai cori e al mandolino. Il suo sesto lavoro, The Invisible Man, è senza dubbio considerabile il suo disco della maturità essendo caratterizzato da un sound accattivante e da un songwriter di grande qualità come dimostrano il brano di apertura Hank Williams' Ghost, accostabile al miglior Todd Snider, l’ottimo rock di Do It Or Die Trying e dalla ballata elettroacustica In My Final Hour. Non mancano inoltre momenti polemici come Goodle (incisa di recente anche da Faith Hill con un titolo diverso) e spaccati più soffici come dimostrano There's A Stone Around My Belly e And The River Is Me. The Invisibile Man è dunque l’occasione per apprezzare il talento di Scott sia nel saper sfruttare al meglio le potenzialità della sua band sia per aver saputo dar la forma migliore dal punto di vista sonoro ai suoi brani.

Salvatore Esposito