Fiato alle voci!
Da Cambridge alla conquista del mondo. I King's Singers visti da Brian Kay
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King's Singers history told by founder member Brian Kay
È uno dei gruppi vocali più importanti della scena internazionale. Nasce come formazione classica ma ha un repertorio che abbraccia Beatles, Queen, Billy Joel e altri autori del pop e del rock.. La formula dura ancora dopo quattro decenni di attività e una vasta discografia. Abbiamo raccolto la testimonianza di Brian Kay, presentatore della Bbc, e membro fondatore del gruppo per capire le ragioni di tanta longevità musicale.
Come è iniziata l’avventura dei King's Singers?
«Eravamo tutti allievi coristi al King’s College di Cambridge. Cantavamo in quello storico edificio, avendo la fortuna di esibirci sotto la guida di Sir David Willcocks. Quando fu tempo di lasciare, sei di noi decidemmo di continuare a cantare insieme, creando un concerto format dove combinavamo il repertorio classico a cappella con quello meno impegnato che proponevamo alle feste dei college e dell’Università. La combinazione sembrava funzionare, tanto che pensavamo che sarebbe durata per due o tre anni. Non potevamo immaginare che dopo 40 anni e migliaia di concerti, i King’s Singers avrebbero continuato a cantare con successo».
Perché avete deciso di essere un gruppo di voci interamente maschili?
«E’ stata una scelta dovuta alla varietà delle voci che esistevano nel King’s College. Fu però nostra l’idea di creare una formazione con due controtenori, un tenore, due baritoni e un basso, la combinazione che dà il suono distintivo al nostro gruppo. Va anche detto che c’era già un repertorio a nostra disposizione quando cantavamo al King’s che era interamente destinato a voci maschili».
C’è sempre stata l’intenzione di inserire brani pop o comunque che avessero una dose di ironia nell’ambito di un repertorio classico?
«Pensavamo che il mix di repertorio fosse un modo di attirare maggiormente il pubblico. Ritenevamo di avere tutto senso dell’umorismo e che potevamo dividere questo divertimento con chi ci veniva ad ascoltare. Se avessimo sempre cantato musica da chiesa del 16° secolo non credo che il gruppo avrebbe avuto lo stesso successo».
I King’s sono conosciuti come un gruppo prevalentemente a cappella. Ma come mai nelle prime incisioni per la Emi ci sono molti accompagnamenti orchestrali?
«Era solo un modo per aumentare il nostro repertorio e per strizzare l’occhio a un pubblico più vastoo. L’etichetta voleva inserirci in un settore più popolare: negli anni ’70 lavorammo molto in televisione ed era inevitabile che gli arrangiatori che lavoravano in quel mondo volessero poi utilizzare le loro orchestre per lavorare con noi».
Aveva programmato per quanto tempo sarebbe restato nel gruppo?
«Sono rimasto nella formazione per 15 anni, cantando in oltre 2000 concerti in tutto il mondo, alloggiando in molti hotel e frequentando tanti di quegli aeroporti che non avrei mai immaginato. Inoltre ho fatto e disfatto tante di quelle valigie.. Dei componenti originari non sono stato il primo ad andare via, mentre Simon Carrington e Alastair Hume hanno fatto questa vita per altri anni. Diciamo che ho lasciato quando ho scoperto che volevo affrontare altre cose nella vita e che ora sto facendo».
Che rapporti ci sono tra i gruppi vocali? Ad esempio, con gli Swingle Singers?
«I rapporti sono molto più stretti di quanto lei possa immaginare. Mia sorella ha fatto parte della fase degli Swingle 2. E molti dei cantanti che Ward Swingle ha portato in quel gruppo sono cari amici dai tempi in cui abbiamo iniziato. Quindi se c’è una rivalità, noi tutti abbiamo l’abbiamo sempre vissuta con uno spirito di amicizia».
I suoi successori nel gruppo, Colin Mason e Stephen Connoly, a parer suo sono entrati nello spirito dei King’s Singers?
«Molto, e se c’è una cosa che mi meraviglia positivamente è il fatto che nonostante i cambi di formazione, il nuovo arrivato colma il divario in modo brillante. E che nonostante il passare di tanti anni, anche se le voci individuali sono ovviamente diverse da quelle dei componenti fondatori, il suono dei King’s Singers rimanga sostanzialmente lo stesso. Questo è in parte dovuto al fatto che molta della musica composta per il gruppo fa in modo che la sonorità sia analoga, anche perché la combinazione delle voci non è cambiata».
Cosa ne pensa dei dischi più recenti?
«Mi piacciono molto e spesso nella mia veste di presentatore e speaker li introduco, lavorando così con i King's Singers di oggi. Lo faccio con ammirazione per il glorioso suono del gruppo che non è cambiato. Penso veramente che l’attuale formazione sia la migliore in assoluto, e la cosa mi riempie di orgoglio dopo tanti anni».
C’è un disco a cui è legato in particolar modo?
«Senza dubbio quello intitolato Out of The Blue, un titolo che purtroppo non è stato ristampato in Cd. Gli arrangiamenti erano brillanti e come gruppo stavamo avendo un gran periodo di forma. Ma ci sono molti titoli che mi piacciono».
Adesso cosa sta facendo?
«Quello che avevo sempre desiderato, il presentatore di programmi alla Bbc. Lo faccio da quando ho lasciato il gruppo nel 1982 e ormai ne ho curati (anche come autore) più di mille. Le mie tre ore di trasmissione della domenica mattina sono durate per nove anni su Bbc 3 e adesso ho due programmi miei sul canale culturale. Presento anche su Bbc 2 un programma chiamato Friday Night is Music Night. Però continuo anche a fare musica dirigendo cori e orchestre anche in America e Nuova Zelanda. Questo mi riempie di gioia anche se non canto più e spero di continuare in tutta questa attività».
Quindi nessuna nostalgia?
«Pensi che qualcuno ancora mi ferma per strada chiedendo se sono o ero uno dei King’s Singers. Quindi mi fa piacere che la gente abbia buona memoria dopo 26 anni e che ricordi con piacere la mia attività. Questo anche grazie all’attuale formazione (i ‘nipotini’ come li chiamiamo noi componenti fondatori) e all’ottimo lavoro che sta facendo».
Michele Manzotti
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