Janis Siegel between solo albums and her carreer with The Manhattan Transfer
Di Janis Siegel solista avevamo già parlato in Stranisuoni (giugno 2004). Componente originaria dei Manhattan Transfer, aveva dedicato Sketches of Broadway al vasto repertorio del teatro musicale newyorchese. Dopo due anni, il nuovo progetto solista ha una caratteristica ben diversa, e che dimostra l'altro lato della cantante, quello più sperimentale. Un carattere tipico anche degli stessi Manhattan Transfer, che negli ultimi tempi però hanno rischiato sempre meno, tranne che nell'ultimo Vibrate (dicembre 2004). A Thousand Beautiful Things è un prodotto legato a sonorità particolari, tenui, con in evidenza il pianoforte dell'ottimo direttore musicale e arrangiatore dei brani Edsel Gomez e soprattutto l'arpa colombiana di Edmar Castaneda in una veste jazzistica inconsueta per lo strumento. Non è un disco d'impatto e prova ne è la Hidden Place iniziale firmata da Björk che è presentata in un'inconsueta veste latina. Un'atmosfera da assimilare dato che è presente anche in buona parte dell'album con riletture originali di I Can't Help It di Stevie Wonder (tra i momenti migliori), di Love di Paul Simon, e di Caramel di Suzanne Vega. La title track di Annie Lennox è suadente nonostante la voce dell'autrice sia quanto di più lontano da quella della Siegel, che si presenta anche da sola nell'omaggio al padre scomparso in ...Till Then. E' un album da ascoltare attentamente più volte prima di apprezzarlo al meglio. E indubbiamente ne vale la pena.
«Conquistata da un'arpa», il nuovo sogno di Janis
Lei è l’unica componente dei Manhattan Transfer ad avere una discografia solista considerevole, a partire da At Home, e relazioni artistiche con altri musicisti. Come sceglie un progetto differente da quelli che fa con il gruppo?
«Seguo la mia musa in questi casi. Con un lavoro solista posso esprimere la mia personalità e soprattutto non devo pensare a lavorare in base alle altre tre voci».
Ci può raccontare la principale caratteristica del suo ultimo album A Thousand Beautiful Things?
«Il viaggio che porta a questo disco parte nel gennaio 2005 a un concerto del musicista cubano Paquito D’Rivera al quale non avevo voglia di andare. Stavo bene a casa ed ero molto stanca. Il pensiero di scendere in città e di vedere comunque una persona che ammiro come Paquito e altri musicisti di classe non mi sfiorava nemmeno, sarei andata volentieri a dormire. Ma alla fine, protestando un po’, ho assistito al concerto che si teneva alla Carnegie Hall. Lo show era molto valido, con vari tipi di repertorio affrontati e artisti come Bebo Valdes, Candido & Cachao, Yo-Yo Ma e Rosa Passos. Ma quando un giovane arpista colombiano, Edmar Castaneda, ha eseguito un brano solista, ho sentito qualcosa, mi sono alzata in piedi e ho aperto la bocca per la meraviglia grazie alla sua capacità virtuosistica. Avrei voluto cantare con lui».
Infatti compare tra gli artisti del suo disco, in cui propone brani di numerose stelle della musica tra cui Björk e Suzanne Vega.
«Quella sera ha rappresentato proprio l’inizio del mio nuovo progetto. La mia formazione non è strettamente jazz, ma piuttosto un misto di rhythm’n’blues, pop, folk, musica di Broadway, e anche se amo gli standard sono più interessata a affrontare più generi mescolandoli così come si fa per gli ingredienti in una pentola. Crescendo a New York City, c’è stata la possibilità di ascoltare non solo il meglio nella classica, opera, Broadway, jazz, cabaret, canto doo-wop e rock’n’roll, ma anche ritmi latini, sapori caraibici, ritmi africani, tutti importanti durante la mia gioventù. Ho ascoltato le produzioni di Joe Cuba, Eddie Palmieri, The Mighty Sparrow, Olatunje e soprattutto i dischi di Oscar D’Leon. La mia prima opportunità è stata di interpretare sonorità latine è stato in occasione di un progetto chiamato Latin Wonder, un albumi di brani di Stevie Wonder. Quando l’opportunità si è accresciuta grazie all’incoraggiamento di Brian Bacchus, di fare questo nuovo progetto discografico attraverso un linguaggio latino con alcuni dei migliori giovani musicisti di New York ho preso l’occasione al balzo».
Nei suoi concerti italiani è stata accompagnata da un trio. E' stata una scelta stilistica dovuta ai brani presentati?
«In un mondo perfetto avrei potuto portare con me l'intera formazione del disco. Certo è che viaggiare con arpa colombiana, tromba, basso acustico ed elettrico, e un'altra cantante al seguito per fare i controcanti sarebbe stato faticoso. Penso che comunque il trio composto dall'arrangiatore e pianista dell'album Edsel Gomez, il batterista Steve Hass e il bassista Darek Holes abbiano creato adeguatamente l'atmosfera del disco».
Torniamo ai Manhattan Transfer, quale album a suo parere rappresenta al meglio la vostra sonorità?
«Penso che tutti i nostri album lo siano. Noi siamo conosciuti per uno stile che si rifà agli anni ’40. In questo caso i brani più significativi sono Candy, Blue Champagne, On a Little Street on Singapore, per esempio. Ma alcuni album del gruppo che amo molto presentano brani in uno stile diverso, come Blues for Pablo, Why not, Do you know what it means to miss New Orleans, The night that Monk returned to heaven, Birdland, Helpless, e Night in Tunisia».
L’ultimo album in studio, Vibrate, è meno swing e più sperimentale. Come scegliete il vostro repertorio?
«Con molti incontri musicali e scambi di Cd e di idee tra l’uno e l’altro. Vibrate è un esempio di un modo eclettico di approccio a materiale di vario tipo. Ognuno ha contribuito con molte idee a questo progetto».
Questa estate siete venuti più volte in Italia. Quale rapporto c'è tra il gruppo e il nostro paese?
«Posso dire senza esitazione che l'Italia è uno dei tre paesi in cui ci esibiamo più volentieri. Amiamo lo spirito della gente, il cibo e il vino, l'architettura e i monumenti che avete. Speriamo di farlo sempre più spesso».
Michele Manzotti
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Track list
Hidden Place
The Suitcase Song
I can't help it
Caramel
A Thousand Beautiful Things
A Wish (Valentine)
Love
Make it Better
... Till Then
Sweet is the Air
Reflecting Light
Did You see the Moon Tonight? |