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È nato per correre e sta ancora correndo
di Alessandro Alajmo
Quando Bruce Springsteen ha iniziato a far parlare la sua chitarra davanti all'ondeggiante folla dell'Artemio Franchi sulle note di una rustica "Born In The Usa" il sole era ancora in alto a scaldare fino allo sfinimento tutti i presenti, alcuni dei quali per assicurarsi i posti sotto il palco erano li da chissà quante ore. Il volto dell'uomo che più di chiunque altro rappresenta il lato rock and roll dell'America di oggi è proiettato nei due maxischermi a fianco dell'enorme palcoscenico nero: è gonfio, stanco, ricoperto da capelli più lunghi del solito e segnato da due pesanti occhiaia. Eppure la sua voce è da brivido. Sentendo Springsteen dal vivo solo alla chitarra acustica che canta lo spesso frainteso inno/denuncia alla sua patria sembra che si stia raccondando proprio a te personalmente, tanto è diretto.
Dopo questa emozionante introduzione inizia il vero e proprio concerto di Bruce Springsteen & The E-Street Band. Lo spettacolo, lungo più di tre ore, si snoda intorno ad alcuni passaggi ben collaudati: "The Rising"/"Lonesome Day" in apertura, "Empty Sky"/"You're Missing"/"Waitin' On A Sunny Day", "Worlds Apart"/"Badlands", "Mary's Place", il classico dei classici "Born To Run", eseguito nel primo dei due round dei bis, e il rush finale "My City Of Ruins"/"Land Of Hope And Dreams"/"Dancing In The Dark". Quasi tutti pezzi dell'ultimo album, che in alcuni casi dal vivo assumono un aspetto di gran lunga più affascinante che su disco, più coinvolgente. Il riferimento vale soprattutto per "Empty Sky", privata dell'accompagnamento di batteria e di consguenza capace di scavare molto più in profondità, "You're Missing", in cui prevale la splendida melodia pianistica del "professore" Roy Bittan, e "Waitin On A Sunny Day", che fa danzare e battere le mani a quarantamila persone e le fa anche cantare in un divertente botta-risposta con il Boss. A questo punto il sole inizia a calare, lasciando Bruce Springsteen in quello che è il suo momento per eccellenza: la notte. E se il cantante del New Jersey sembrava un po' stanco alle prime battute, via via si è caricato. Con lui la E-Street Band, la carovana rock and roll dal caratteristico sound energico e genuino che da tre decenni lo accompagna in lungo e in largo. Tra un flusso sonoro e l'altro il Boss si diverte a infilare ogni sera qualche diversa canzone del suo vasto repertorio. A Firenze è stata la volta di "Night", "My Love Will Not Let You Down", "Sherry Darlin'", "Out In The Streets", "Thougher Then The Rest", "Jungleland", "Into The Fire" e "The Promised Land". Particolarmente toccante è stata "Jungleland", il pezzo conclusivo di una pietra miliare del rock quale è "Born To Run", nella quale "The Big Man" Clarence Clemons ha potuto sfoderare un intenso assolo al sax. E' proprio l'intensità, più che l'originalità, la forza della E-Street Band.
Il primo ritorno sul palco dopo "The Promised Land", che aveva chiuso la prima parte del concerto, è nel segno del puro e semplice rock and roll, quello che avvicinò il giovane Bruce Springsteen alla chitarra: "Kitty's Back", poi "Ramrod", quindi l'immancabile "Born To Run". Le luci dello stadio si accendono e sembra di nuovo giorno, e di star davvero correndo su qualche highway cercando fortuna. Seguono "Seven Nights To Rock" e "Glory Days". Il saluto finale arriva come previsto dopo "My City Of Ruins", con Springsteen al pianoforte, "Land Of Hope And Dreams" e "Dancing In The Dark", durante la quale Springsteen non la smette più di saltare, dando ancora una volta prova della sua incredibile energia, tanto che ogni poco si deve far lanciare una secchiata d'acqua per rinfrescarsi.
Quando non è impegnato in acrobazie e corse sotto il palco, Springsteen si ferma a guardare davanti a sè. E quella che si prova a vedere, ovunque si vada, decine di migliaia di persone che desiderano solo ascoltare la tua musica non può essere che una sensazione che ti impregna l'animo di orgoglio, che ti fa capire che quello che hai fatto non l'hai fatto per nulla, l'hai fatto per tante, ma proprio tante persone.
Qui a Firenze era il concerto più atteso dell'anno, e in futuro lo stadio sarà saturato di un simile entusiasmo soltanto in occasione del terzo scudetto viola.
Alessandro Alajmo
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