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Greetings from the 125th Street in a sad, sad day...

Arrivare sulla 125th è come entrare nel set di un film poliziesco di fine anni 70, è come ritrovarsi nella copertina di un album di Bobby Womack.
Si rivedono le cadillac degli anni 80, i vari applebee's ed i mcdonalds lasciano un po' di spazio ai ristoranti soul food dove si cucina vero "southern fried chicken" ed i giovani vestiti a mo di rapper non sono poi tanti se rapportati a tutti gli altri abitanti della zona.
Le luci della 125esima mi danno il benvenuto e lungo la Nat King Cole Walk si intravede la storica scritta "Apollo".
È il 30 dicembre e sono circa le 20. Le luminarie dello storico teatro pubblicizzano la ormai famosa "Apollo amateur's night" quando mi accorgo che la scritta cambia in "Rest in Peace Apollo Legend Godfather of Soul James Brown 1933-2006".
Lungo il marciapiede antistante l'ingresso del teatro, si respira aria di commozione e di rispetto.
Le auto lungo la strada rallentano in segno di saluto. Molti abbassano il finestrino e lanciano un saluto, mandano un bacio. Altri alzano il volume dell'autoradio le cui note sono le sue, del Godfather of Soul James Brown. Ed è una processione infinita di auto dai cui interni si ascolta "Sex Machine", "Make it Funky", "I feel good".
Un signore che vende dvd pirata di ogni genere ha messo su un piccolo televisore dal quale trasmette 24h su 24 filmati di James Brown. La fortuna vuole che adesso sia il turno di un filmato raro in cui il Re canta una "Georgia on my mind" la cui bellezza è tale da indurre due fidanzati di colore a far fermare la loro limousine e scendere come incantati. E siamo tutti lì, senza muoverci, con la pelle d'oca. C'è il padrone della videoteca che sembra uscito da un film di Abel Ferrara, ci sono due homeless, una signora che piange, un tizio che muove la testa quasi a voler dire che come il Re ormai non c'è nessuno, alcuni ragazzi, e tanto, ma tanto rispetto.
Il rispetto dovuto a chi, come lui, Sam Cooke, Otis Redding e tanti altri, ha saputo parlare direttamente al popolo. Ha avuto la capacità di poter elevare la propria arte da mero intrattenimento a vero e proprio strumento di comunicazione sociale, senza perdere per questo i connotati della semplicità e della immediatezza.
Ha saputo divertire ma, divertendo, ha gridato ai 4 angoli del pianeta "say it loud, I'm black and proud!". Ha goduto della sua celebrità, ne ha approfittato, l'ha mangiata tutta ed ha preso tutto quello che c'era da prendere, di bello e di brutto, di lecito e di illecito.
Ma sul palco non si è mai risparmiato, fino all'ultima nota, fino all'ultima goccia di sudore, fino all'ultima canzone.


Perchè la musica, quella musica, è anche fatica, sudore, sangue e lacrime. E per diventare una sex machine, di sangue e sudore ne devi dare tanto, ma proprio tanto.
Così si diventa Re, per questo tutti coloro che son venuti dopo di lui, senza distinzione alcuna tra funky, soul e rap, hanno dovuto prima o poi inchinarsi a lui, al Re.
È morto James Brown ed è scomparso uno dei pezzi dell'"abecedario del rock and roll", vale a dire un tassello di quelle fondamenta che dovrebbero essere conosciute a menadito da tutti, ma proprio tutti, prima di poi avventurarsi nei propri, diversi e distinti ascolti.
È una sensazione strana, irreale. Ma, nonostante il clamore della notizia, la sensazione che si prova è che a morire sia stato sì un Re, ma un Re del popolo, un Re che ha parlato il linguaggio dei poveri e dai più poveri è stato amato. E' una verità che non dovrebbe mai essere dimenticata, quella della dimensione popolare della musica contemporanea. Una verità che trova la conferma in questa umida sera di fine anno, mentre - commosso - mi allontano dall'Apollo ed una giunonica donna di colore dietro di me, canta al cellulare una bellissima "Amazing Grace" dedicata a non so chi. Cose che capitano solo ad Harlem, mi dico.
Non c'è altro da dire. In una serata come questa si puÚ solo restare silenziosi ed assaporare questa atmosfera di tristezza infinita, abbassare il capo e porgere rispettosi l'ultimo saluto al Re, Mr. James Brown.

Giovanni de Liguori

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