. Bruno Lauzi - un ricordo

IL BRUNETTO
(un ricordo di Bruno Lauzi)

Tanto tempo fa, eravamo intorno agli anni ’60 (non ricordo bene se prima o dopo, ma il periodo era quello), un amico appassionato di musica mi invitò a casa sua dicendomi che voleva presentarmi un tipo speciale che aveva conosciuto da poco, il Brunetto (così lo chiamava lui), che abitava a Varese ma cantava come un francese e aveva scritto una canzone bellissima.
Incuriosito ci andai e fu lì che incontrai per la prima volta Bruno Lauzi.
Si presentò con la chitarra sottobraccio e mi fece impressione perché, pur essendo piccolo di statura, già allora diceva cose grandi, importanti e aveva già un’idea precisa della musica che gli piaceva e di quello che avrebbe voluto fare, talmente sicuro e tranquillo che sembrava normale che ci dovesse riuscire.
Ad un certo punto, dopo aver chiacchierato un po’, su insistenza dell’amico comune il Brunetto imbracciò la chitarra e buttò lì una cosa divertentissima che presentò come “Garibaldi Blues”.
Poi, sempre su insistente richiesta dell’amico, che sapeva bene dove voleva arrivare, cambiò registro e buttò lì “Il poeta”: la canzone era già completa, bella e fatta come dopo qualche anno l’avremmo conosciuta tutti.
Inutile dire che rimasi a bocca aperta, per la canzone e per l’interpretazione, e non potei fare a meno di dirgli che se continuava così non si sarebbe di certo fermato a Varese.



Qualche mese dopo, avendo saputo che anch’io suonavo la chitarra e potevo fare sia accompagnamento che solismo, mi invitò a partecipare con lui a quattro serate che si sarebbero tenute presso un bar del centro di Varese che, di solito il venerdì, offriva musica ai suoi avventori.
Accettai e ci trovammo la prima sera, senza prove ma con un grande entusiasmo, dettato un po’ dalla voglia di esibirsi e un po’ dall’incoscienza tipica dei giovani.
Io facevo dei pezzi da solo, poi veniva il Brunetto e cantava delle cose di moda in quel momento, sempre adatte al suo registro, accompagnandosi o facendosi accompagnare da me, a seconda del genere di canzone presentata e alla fine devo dire che andò bene e il proprietario del bar ci fece i complimenti e ci disse che se volevamo potevamo bere tutto quello che ci piaceva.
Gli andò di lusso perché eravamo tutti e due astemi e, giusto per farlo contento, bevemmo un paio di aranciate.
L’ultima delle quattro sere però Bruno (io lo chiamavo così perché con Brunetto mi sembrava di farlo diventare ancora più piccolo) disse che gli sarebbe piaciuto cantare una bossa nova e fu lì che mi mise in buca, chiedendomi se gli accompagnavo “Corcovado”.
Con un po’ di vergogna dovetti ammettere che non la sapevo e lui, non convinto, si mise a canticchiarmela ma, dopo vari tentativi, dovemmo arrenderci: il pezzo era davvero difficile da armonizzare per uno che non lo aveva mai suonato e decidemmo così di sostituirlo con “O barquinho”, più abbordabile e meno complicato.



Gli anni seguenti Bruno fece quello che fece e ci perdemmo di vista, salvo incontrarci, magari a distanza di anni, negli uffici di qualche casa musicale e lì ci si scambiavano impressioni su fatti e avvenimenti, senza però mai parlare di musica.
Del resto, le amicizie che si fanno da giovani rimangono inalterate nel tempo e si può stare anche dieci anni senza vedersi ma non ci si dimentica ed è sempre un piacere rincontrarsi e fare quattro chiacchiere senza l’obbligo di parlare di lavoro.
Per come lo vedevo io, Bruno Lauzi era sì un buon creatore di melodie, ma soprattutto è stato un grande autore di testi: a parte le cose scritte da cantautore, basterebbe citare “L’appuntamento”, versione italiana di una canzone brasiliana di Carlos che dovette il suo grande successo locale anche al testo perfetto, oppure quella che viene considerata una delle più belle canzoni italiane di tutti i tempi, “Almeno tu nell’universo” che unisce, caso più unico che raro, una fantastica melodia a un testo incredibile.
Ed ora che il Brunetto se n’è andato mi accorgo che con tutte le volte che ci siamo rivisti mi sono sempre dimenticato di dirgli una cosa: adesso “Corcovado” l’ho imparato.
Ma purtroppo lui non lo può più cantare.

Rinaldo Prandoni


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