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Prediche canzoni
Ha senso scrivere un pezzo sul Festival di Sanremo dopo che è già stato detto tutto?
In effetti potrebbe anche essere inutile, ma per me è un impegno morale.
Infatti, probabilmente per via della mia non più verde età, Ernesto mi considerava adatto per fare delle considerazioni sulla manifestazione e ogni anno mi chiedeva il commento, perciò mi sento in dovere di continuare la tradizione.
Bisognerebbe parlare soprattutto delle canzoni, visto che lo spettacolo dovrebbe anzitutto esserne una vetrina privilegiata ma, come da parecchi anni a questa parte, le buone canzoni latitano e, a parte qualche guizzo qua e là, non si esce da un “voglio ma non posso” che non porta da nessuna parte.
Potrei essere smentito subito domani: temo però che anche quest'anno non uscirà niente che diventi, non si pretende una hit internazionale, ma almeno un evergreen nostrano.
Non mi stancherò mai di ripetere che gli autori, quelli che non pensano ad esibirsi ma a scrivere buone melodie e testi che filano e fanno venir voglia di cantare, sembra siano stati messi da parte e la percentuale dei brani dove uno degli autori è lo stesso interprete è altissima.
Tutti autori dunque, magari pensando anche agli introiti Siae.
Poi, se le canzoni vengono dimenticate dopo una settimana, se ne scriveranno delle altre.
Ma attenzione: non si tratta di rimpiangere i vecchi scarponi e i malinconici autunni.
Anche la melodia ha avuto la sua bella evoluzione e ce ne siamo ricordati tutti in occasione della triste fine di Whitney Houston, riascoltando i suoi pezzi più belli, (a farlo apposta, non scritti da lei).
Più che per le canzoni, quindi, questo Festival sarà probabilmente ricordato per la presenza, osannata da una parte e contestata da un'altra, di Adriano Celentano che, oltre a gettare dei grossi macigni nell'acqua, ha coinvolto senza pietà anche i suoi colleghi d'avventura, diventati spalle e complici della sua a tratti imbarazzante performance.
A seguito di cinque minuti di bombardamento, che già dopo un minuto ci si stava chiedendo come mai non era ancora finito, ecco Adriano spuntare da un mucchio di cadaveri e attaccare il suo sermone, tranciando a metà le proposte canore dei concorrenti e suscitandone le giuste ire.
Doveva essere lasciato libero di dire tutto quello che aveva in mente nel momento che riteneva più adatto: e così è stato.
A parte qualche buon momento, l'impressione generale è stata quella di aver ascoltato un predicatore datato, un po' bilioso e fondamentalista, che ce l'aveva con l'evoluzione del pensiero e del costume e non ammetteva che anche chi si professa credente poteva interessarsi e discutere di ciò che avviene nel mondo.
Visto che ognuno è libero di dire quello che pensa, in un caso normale tutto sarebbe finito con qualche discussione fra amici (ha ragione; no, oggi non si può più pensarla così; tutto sommato però qualcosa di buono ha detto, e così via). Invece, esattamente come aveva fatto un altro importante personaggio andato recentemente un po' in ombra, Adriano ha chiesto la chiusura di due testate giornalistiche che, al di là delle convinzioni di ciascuno, hanno sempre assolto il loro compito con determinazione ma con correttezza.
E, non contento di aver fatto una richiesta da totalitarismo oscurantista, ha poi coinvolto Morandi e Pupo in una gag sulla Consulta, dove i due si sono calati alla perfezione, tanto da sembrare davvero convinti di ciò che dicevano.
La cosa singolare è che ogni tanto il predicatore si ricordava di essere anche un cantante e, accompagnato magistralmente dalla macchina ritmica guidata dal superbo Fio Zanotti, regalava al pubblico momenti di musica incredibili, ricordandoci che quando si impegna e va sul suo genere è ancora il migliore.
Ecco, se dovessi dire cosa mi è piaciuto di più di questo sessantaduesimo Sanremo, a parte un paio di grandi situazioni nella serata degli ospiti internazionali, opterei per Adriano cantante.
È sufficiente per assolverlo dal passo falso di voler impedire a qualcuno la libertà di espressione?
Se per il futuro deciderà di tornare ad essere un artista a tempo pieno, credo che verrebbe perdonato da tutti, compresi quelli che lui avrebbe voluto cancellare.
Rinaldo Prandoni
nella foto Ansa: Samuele Bersani, vincitore del premio della critica
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