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Syd Barrett Goodbye Piper at the gates of dawn

Syd's celebration

Se è vero, come dice il proverbio, che only the good die young Syd Barrett, scomparso nella prima decade di luglio di quest’anno ma a tutti gli effetti andatosene poco più che ventenne nei primi anni dei settanta, appartiene a questa categoria di eroi di diritto.

Roger “Syd” Barett salutò infatti in fretta i suoi fans lasciandosi dietro di sé le straordinarie composizioni del primo album dei “suoi” Pink Floyd, una premonitrice “Jugband Blues” dal successivo “Seacerful of Secrets”, il cui testo non nasconde le intenzioni a venire (“it’s awfully considerate of you to think of me here/and i’m most obliged to you for making it clear that i’m not here“ ), due dischi da solista, “Barrett” e “The Madcap laughs”, una manciata di folli sedute radiofoniche per la BBC e una di inediti che fanno ancora parlare, come la pluri commentata “Vegetable man” (“I’ve been looking all over for a place for me/ but it ain’t anywhere/it just ain’t anywhere”) .

Quando Syd Barrett abbandona ufficialmente i Pink Floyd, il 9 aprile 1968, la sua figura è già leggendaria nella vitale e effervescente scena underground londinese e ha superato i confini velocemente.

Conoscendo la sua arte e commentandola con il senno di poi, ciò che ci ha lasciato poteva essere già considerato moltissimo .
Ci sono infatti lampanti esempi di artisti che nello stesso lasso di tempo non hanno saputo fare così bene e si sono, comunque, conquistati un posto al sole per decenni a venire.

Ma lì dove finisce la vita comincia il mito e per Barett, da vivo, non vi è mai stato un giorno di vero riposo.

Negli anni a venire qualche ritrovamento fortuito qui e lì ha reso felice il fan e il cultore del mito di Barrett, come il filmato del 1965 del suo primo trip in acido o il ben più interessante segmento da “Tomorrow’s world” della BBC ( di cui si erano perse le tracce), del gennaio 1968, in cui la band improvvisa follemente mentre Mike Leonard, insegnante d’arte dei quattro ragazzi, dimostra la sua “macchina della luce” (reperibile oggi su “The Pink Floyd and Syd Barret Story, definitive edition in 2 dvd).

Sono però gli avvenimenti degli anni dopo l’allontanamento più o meno forzato dal gruppo a alimentare la sua figura e lo status leggendario

Nel novembre 1970, con la pubblicazione del suo secondo album, Syd tentò di salutare definitivamente i suoi fans per tornare a essere se stesso ma in modo diverso, come lo può essere chi si è rimpinzato di acido per tre/quattro anni senza soluzione di continuità.
In una intervista con il fotografo Mick Rock per la rivista Rolling Stone afferma “ passo il mio tempo senza far molto…la mia chitarra è diventata arrugginita…scusa, non riesco a parlare molto coerentemente…”.

La mitologia della sua straordinaria forza musicale, la lucidità indiscussa di andare oltre i limiti del momento lo inseriscono di diritto nella sfera degli eletti. Ma il distacco dal mondo circostante fu meno semplice del previsto.

Innanzitutto perché il suo straordinario talento non lo abbandonò mai. Anche nelle session per la BBC del 16 febbraio 1971, estorte quasi con la forza dal produttore John Muir per il programma condotto da Bob Harris, Barrett appare perfettamente a fuoco per ciò che vuole proporre (sono sopravvissute solo “Baby Lemonade”, “Dominoes” e “Love Song”) e lo stile vocale e ben definito.

Nel 1972 il tentativo abortito di mettere in piedi una nuova band, Stars con l’ex Pink Fairies, Twink, fallisce miseramente in un sottoscala di Portobello road. C’è chi però, pur indirettamente, tiene il suo nome ben saldo nella mente degli appassionati di usica

David Bowie lo celebra, primo di una lunga serie, riproponendo “See Emily Paly” nel suo album “Pin Ups” dell’otobre 1973 e affermando in una intervista “ Syd Barrett è stato il primo cantante del nostro paese a cantare il pop e il rock con un accento britannico. Tutti noi gli dobbiamo qualcosa”.
L’adorazione del duca Bianco resterà inalterata fino alla fine, fino a una straordinaria versione di”Arnold ayne” il 29 Maggio 2006 durante lo show di David Gilmour alla Royal Albert Hall di Londra, fino a uno stringato ma intenso comunicato a seguito della scomparsa che recita solo così “A diamond, indeed”.

Intanto comincia il ritiro di Barrett (non saprem mai se premeditato), prima a Cambridge, poi di nuovo a Londra, nel 1973 e per qualche anno ancora, in un appartamento a Chelsea Cloister dove – si dice – abbia passato il tempo mangiando e guardando la televisione.

Coloro i quali sanno qualcosa delle celebri sedute del novembre 1973 e dei primi mesi del 1974 ad Abbey Road, abortite sul nascere, non si è mai espresso completamente, come se si volesse continuare ad alimentare un mistero che giova, però, a questo a punto, solo a pochi.

“Un caos totale” mi confessò nel 2003 proprio Peter Jenner, nel suo ufficio di Kensington fra mille oggetti che ricordavano Syd e i primi Floyd. “Grappoli di note senza senso si alternavano ad accenni di melodie e liriche. Provammo anche ad isolare le cose migliori, quelle che avevano un senso, ma era troppo poco per aver qualcosa da fare ascoltare …”

Il 5 Giugno 1975 Barrett va a trovare i suoi colleghi Pink Floyd in studio durante le registrazioni di “Wish You Were” completamente trasformato e pelato ( ma nessuno si è mai preoccupato di spiegarci come uno sconosciuto potesse entrare in uno studio, luogo di per sé offlimits ai curiosi, senza essersi fatto prima annunciare ufficialmente in qualche modo presso un gruppo già all’epoca così famoso e recluso per volere dei componenti e del management!!!…).
E’ grasso, ha i capelli cortissimi e le ciglia rasate. Se ne sta da una parte con uno spazzolino per i denti in mano, nessuno lo riconosce. Poi si avvicina a Rick Wright e gli chiede “bene, in che segmento musicale devo registrare l’assolo di chitarra?” . Il silenzio scende in sala e la tensione va alle stelle. I quattro riconoscono Barrett. Stanno per registrare la voce di “Shine on Your Crazy Diamond”. Waters senza farsi troppo intimorire va fino in fondo al take poi, si rivolge a Syd. “Che ne pensi ? “ gli chiede diretto. “ Mi pare un pezzo già vecchio sul nascere” e scompare.
Per sempre.

Syd torna così, più o meno premeditatamente, ad essere Roger.

Nel 1978 si presenta alla porta della villetta della sorella Rosemary, a Cambridge, raggiunta a piedi da Londra, e chiede definitivamente asilo.

Va a vivere con la madre, Winfred, ma non è il recluso che tutti vogliono descrivere.
E’ un uomo silenzioso che gira in bicicletta, che si reca a comprare le sigarette, il giornale, il latte, che cura con grande amore il giardino (operazione questa molto pinkfloydiana, secondo chi scrive…) mentre una sequela interminabile di curiosi, ossessivi,maniaci e/o reporters rumorosi continuano ad appostarsi intorno alla sua casa per strappargli quel qualcosa che tutti hanno cercato fino al giorno dell’annuncio del suo decesso ma nessuno saprà mai cosa è .

Ogni gesto è monitorato, ogni passo osservato. Il mito avanza.

Negli anni ottanta Roger Barrett passa un breve periodo e peraltro volontario in un istituto mentale.

Nel 1987 un reporter di News from the world bussa alla sua porta di casa e realizza un servizio di due pagine in cui focalizza ciò che l’acido LSD aveva prodotto sul Barrett, avendolo reso – così si espresse – “ inabile a coordinare una sola frase”.
Al cronista non passò neanche lontanamente per la testa che Roger non avesse nessuna intenzione di parlargli.
La famiglia fece causa alla testata anche se era fuori dubbio il male causato dagli eccessi.
L’anno successivo l’organista Rick Wright osserva “ se non avesse avuto un totale collasso nervoso, oggi sarebbe uno dei più grandi autori di canzoni in vita”.

Commenti del genere non fecero altro che esasperare la leggenda.
Nel 1988 venne pubblicato materiale inedito in un album intitolato “Opel”, cinque anni dopo una collezione di suoi lavori venne riunita in un box di 3 cd. Una biografia “Crazy Diamond“,scritta da Mike Watkinson e Pete Anderson, apparve nelle librerie nel 1991 in concomitanza alla raccolta “Wouldn’t You Miss Me – the Best of Syd Barrett”.

Nella metà degli anni novanta la Atlantic records si fece avanti con una offerta di 200.000 dollari per “ tre o quattro canzoni da registrarsi dovunque, a sua convenienza, anche in cucina “.
L’offerta venne puntualmente rifiutata.

A fare i conti con le miriadi di piccoli avvenimenti, appostamenti, leggende metropolitane, false testimonianze, balle spaziali che girano ed altro, verrebbe da pensare che Barett, un uomo che in fin dei conti cercava solo un po’ di peace of mind, abbia passato una bella vita di merda con tutto il mondo fuori dalla porta a rompergli i ciglioni, ventiquattro ore al giorno.
Noi ci possiamo solo augurare che per lui non sia stato così ma è difficile crederlo.

Negli ultimi anni di vita Roger “Syd” Barrett apparve più frequentemente in giro per Cambridge. Roger aveva continuato a vivere nella villetta di proprietà della madre, dopo la scomparsa di quella nel 1991. Lo si poteva incontrare la mattina presto, in pantaloni corti, a fare jogging. Un paio di anni fa, nonostante il tentativo della sorella di nascondergli la realtà, rimase davanti alla televisione fino a tardi per la visione di un documentario a lui dedicato ma si alzò prima della fine dello stesso commentando lo spettacolo come “troppo rumoroso”.

Pare che, ultimamente, avesse ricominciato a dipingere, sua vecchia passione, tenendo solo i dipinti che più gli piacevano e distruggendo gli altri, senza mai essere intenzionato a mostrare nessuno di questi dipinti in pubblico.

I membri dei Pink Floyd – David Gilmour, Nick Mason, Roger Waters e Richard Wright – hanno fatto pubblicare un comunicato stampa comune dopo la notizia data in anteprima del Guardian Unlimited della scomparsa di Barrett alle 13.15 di Martedì 11 Luglio 2006 e subito ribattuta dalla BBC.
“Il gruppo è triste per la notizia della scomparsa di Syd che è stata la luce guida della prima formazione. Egli lascia una eredità che continuerà a ispirare”.

La sua scomparsa mette la parola fine a una delle storie più triste ed enigmatiche del rock.


Ernesto de Pascale


Intervista a Joe Boyd

Joe Boyd è forse la persona che meglio di ogni altra ha visto Syd Barret e soci trasformarsi da semplice blues band universitaria in alfieri dell’underground londinese prima di spiccare il volo per un successo stellare. Ecco il suo ricordo :
“Questi ragazzi di Cambridge che mi vennero segnalati da Peter Jenner – poi manager della formazione – brillavano fra le varie personalità del periodo. Li inserii subito nel 14th Hour Technicolor dream dell’Alexadra Palace e mi fu subito chiaro che erano personaggi speciali: in special modo mi colpì Syd Barrett : aveva un fare femmineo, sguardo magnetico, ti fissava lungo senza parlarti e incuteva il timore di chi ti guarda e non sai cosa pensa. Il suo stile vocale era unico e dettato dalla impossibilità di cantare come un vero cantante almeno così pensai all’epoca - riflette in produttore del primo singolo dei Pink Floyd – mentre il suo stile chitarrista era qualche cosa di mai ascoltato prima con lo slide e mi colpì per il suo metodo arcano di porsi allo strumento, come un vero bluesman del delta “:
Continua Boyd e la storia si fa avvincente : “ Suonai un demo a Jac Holzman del’Elektra ma non se ne fece di niente, aveva la testa altrove. Così mi rivolsi ad Alan Bates della Polydor records una sussidiaria della Deutsche Grammophone nata per sondare il mercato underground inglese. Portai i Pink Floy in studio e a tutti piacque subito “Arnold Layne “ ma ci dovemmo fermare subito perché l’interessamento della Emi rappresentava una proposta alternativa troppo ghiotta da rifiutare. In questo breve periodo di tempo imparai a conoscere Syd che a differenza di Roger Waters era assolutamente disinteressato a tutto ciò che non fosse musica e passava il suo tempo a disegnare, a fare l’amore con le più elle ragazze di Londra, a suonare a fumare. Un giorno gli contai fumare 19 spinelli di afgano nero”. Joe
Boyd venne presto esautorato dalla Emi da ruolo di produttore e il gruppo dovette accetare l’anticipo di 5000 £ per sostenere l’acquisto di nuove attrezzature e di un furgone. Ma i ricordi di Boyd intornoa Barret non si fermano qui : “ Una sera di maggio incontro Syd e la sua ragazza a Cambridge Circuì. Syd sembrava non si fosse lavato per settimana ed era tutto sporco. La sua compagna mi disse che Syd stava prendendo un acido dopo un altro da una settimana e che non sapeva come fare a farlo smettere….quando la settimana si esibirono all’UFO Club di Tottenham Court Road i famosi occhi spiritati di Syd Barrett erano stati sostituiti da uno sguardo scialbo e perso nel vuoto, come se qualcuno avesse spento un interruttore. Durante il set rimase da una parte, senza muoversi, ondulando, con la chitarra costantemente in feedback, fissando lo spazio. Da lì a poche settimane il suo posto sarebbe stato preso da David Gilmour”.
La storia però non finisce qui “ rincontrai syd in studio quando stava registrando i suoi dischi da solista. Pensai che non sapeva dove era e cosa stava facendo. Solo una volta lo vidi chiedere con insistenza e urgenza di entrare in sala e far girare i nastri e ciò avvenne mentre lo studio era occupato da qualche altro artista. Infatti ritengo che molte registrazioni di Syd siano da qualche parte nei multi piste di chissà chi…”. Pensiero questo confermato da Mark powell dell’Ecletic records che commentando la scomparsa di Barrett mi ha confidato aver trovato in un multipiste di Kevin Ayers – dopo 17 take dello stesso pezzo – un brano di Barrett e tutta la sequenza audio dell’avvenimento. “ Tutte le registrazioni venivano registrate alla velocità di sette pollici e mezzo da un registratore stereo revox supplementare ai multipiste dell’epoca. Questa pratica in uso ad Abbey Road – mi spiega Powell – era stata voluta da George Martin durante le session di “Revolver” ei Beatles e mai più abbandonata in nessun studio anche in quelli più piccoli. Di certo ci sono centinaia di nastri ancora a ascoltare negli archivi EMI…”conclude Powell.
A Boyd avevo precedentemente chiesto se esistono ancora i demo che i Pink Floyd avevano registrato alla Polydor ma la risposta era stata vaga. Ma da una ricerca incrociata è chiaro che Boyd non è il solo ad averne una copia. E che in quelle registrazioni c’è molto di più della prima versione di “Arnold Layne”…

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