Partiamo da lontano per arrivare a commentare poi ciò che ci circonda.
Martedì 18 gennaio i quotidiani di tutto il mondo annunciano in pagina finanziaria l’intenzione del gruppo tedesco Bertlsmann (detentori del marchio musicale BMG) di acquistare la EMI, pochi anni orsono a sua volta comprata dalla rampante Virgin di Richard Branson (diventato lunedì scorso, nel frattempo, cavaliere dell’ordine del lavoro britannico).
Il panico si sparpaglia nel mondo della musica e la Bertlsmann, infingarda!, per rendere la notizia più appettitosa comunica che ci sono trattative in corso anche con i giapponesi della Sony ma che, più di ogni altra cosa, l’investimento dell’azienda tedesca nel mondo di internet sarà di 20 mila miliardi.
Il delirio assale la discografia mondiale; delirio giustificato dalle notizie dei giorni precedenti quando cioè venne comunicata la fusione fra il gruppo Time-Warner e il più importante provider statunitense American On Line (AOL).
Con l’acquisto di quello la Time-Warne risolve radicalmente l’annoso problema dei diritti on line e mette una seria ipoteca sul futuro della comunicazione liberalizzata in rete.
America On Line, infatti, ad esempio, ogni qualvolta offrirà una casella di posta elettronica gratuita al sig. White o a Mr. Black avrà il diritto di pubblicizzare — anche via audio — i prodotti della società a cui si è affiliata, la Time Warner appunto, e non parliamo solo di musica, ma di tutto il mondo di quella holding.
Lo stesso giorno mentre accadeva tutto ciò il settimanale musicale inglese “Music Week” pubblicava un’altra raccapricciante notizia e che cioè il 60% dei contratti stipulati dalla discografia d’oltremanica nel 1996 ad oggi, gennaio 2000, sono già stati revocati o risolti dalle parti, riducendo così a una bolla di sapone l’avvento del cosiddetto “Brit Pop” e mostrandone i veri aspetti e cioè quelli di veicolatore per artisti quali “Oasis”, “Blur” e per portare nelle alte classifiche un “trend” mimetizzato da “corrente musicale” (ricordiamo che una corrente musicale — diciamo la musica progressive britannica, nata nel 1969 non si è mai consumata, giusto per capire le differenze con il caso in questione…). Questo vuol dire che nel rimanente 40% dei casi sono inclusi anche quegli artisti che non ce l’hanno fatta e non solo gli “arrivati”.
Pare allora molto logica la scelta del presidente della etichetta “Creation” – quella degli “Oasis” dei “Primal Scream”, dei “Jesus & The Mary Chain” – di aver venduto il marchio a un colosso (la Sony) per ricominciare altrove, proprio come, prima di lui aveva fatto Richard Branson con la Virgin (Branson dopo aver comprato la EMI si vendette l’impero intero e adesso possiede una piccola e intelligente etichetta che si chiama V2 e i marchi Virgin per il trasporto (la linea area e la linea ferroviaria privata britannica), la ristorazione (le bevande) mentre ha venduto la catena di negozi a quel nome).
E per giungere finalmente a noi, dove i contratti di tutti gli emergenti ormai, riportano la facoltà di recesso se il disco non raggiunge le 10.000 copie, cifra difficile da raggiungere, credete!, l’ultimo numero della rivista mensile GQ — un franchising americano pure quello — pubblica un servizio fotografico con annesso mini articolo dedicato alle ragazze della musica italiana. Ecco chi sono: Camilla, Paola e Chiara, Angela Baraldi, Silvia Salemi, Cristina Donà, Irene Grandi, Francesca Tourè, La Pina, Filippa Giordano. Si potrebbe aprire una lunga valutazione perché l’articolo riguarda loro e non vi appare Carmen Consoli (buona scelta della catanese non farsi ammucchiare), ma proviamo ad analizzare: la Grandi sarà a San Remo con un pezzo di Vasco, mentre la Salemi ha appena rifirmato per la BMG e anche lei parteciperà alla manifestazione, Paola e Chiara fanno le animatrici quasi a tempo pieno e sono intrise di “Milano da bere 2000″, la Pina, compagna di uno dei componenti dei Casino Royale è una specie di istituzione lassù nonostante non sia più una ragazzina come d’altronde lo stesso vale per la Baraldi, La Giordano incide per la Sugar di Caterina Caselli alla quale nessuno se la sente di dire di no (vogliamo parlare del lancio del disco della Giordano a Londra? quanto sarà costato? chi se ne è accorto?) Di queste solo la Donà è compositrice e per di più è la meno bella. Ecco allora che nel nuovo universo mondiale (e di riflesso italiano) il ruolo della donna nella musica è di ancora più grande dipendenza: prima in classifica, ma usata dal sistema a tempo pieno. Guardate Shana Twain, Lene Marlin, Jennifer Lopez, Carlotta — quella delle mutandine — e molte altre. Dopo qualche anno che fine fanno? dove è finita Petra Magoni di Pisa? e come lei provate anche voi a farvi venire qualche nome…
A fronte del problema di non aver nella nostra comunità molte autrici — compositrici, quel che stupisce è la grande disponibilità di queste di essere oggetto della discografia. Oggi “donna è bello” nella nuova onda: continuiamo nella lista: i teen ager Naftalina, i Pit©h, gli Scisma, i MadreBlu, La Maugeri — già conduttrice televisiva — con i suoi Puertorico.
Ci troviamo davanti alle future disoccupate del 2005 in un ambiente dove per di più la bellezza conta e anche tanto; e mentre queste cantano la loro vittoria di Pirro in nome dell’apparenza, signore interpreti come Lucilla Galeazzi — con Giovanna Marini dagli 1976 — vivono ai bordi della musica mentre negli Stati Uniti cantanti come Emmilou Harris sono considerate istituzioni.
Ernesto de Pascale
the state I'm in - gennaio 2000