Mark Lavon “Levon” Helm (May 26, 1940 – April 19, 2012)
Levon Helm ha lasciato questo mondo il 19 aprile di quest’anno. Lo ha fatto nella stessa maniera e nello stesso stile con cui lo ha attraversato per 71 anni: con serenità, pace e classe.
Qualche giorno fa la sua famiglia aveva chiesto a tutti gli amici ed ai fans di unirsi alle loro preghiere e di accompagnare Levon a chiudere lentamente il sipario su “this part of his journey” ed è immediatamente partito un tam tam di appelli, canzoni, ricordi e preghiere sino all’ultimo comunicato con cui si dava notizia della morte.
Tra le tante classifiche che ogni anno vengono puntualmente stilate e in maniera ossessiva divise e classificate per generi, decenni, formato lunghezza e peso, quella che non sembra di aver ancora letto è la classifica dei “dischi che possono cambiare una vita”. Semmai si mettesse mano a questa classifica, uno dei posti più alti sarebbe sicuramente ipotecato da “Music From The Big Pink”, album a firma di un quintetto di musicisti che, nel bel mezzo dell’esplosione dei mille colori della psichedelica, del progressive e di tutte le forme musicali che avrebbero raggiunto la piena maturità nei seventies, riuscì a sintetizzare come meglio e come nessuno aveva mai fatto prima, le radici della tradizione Americana: dal Blues, il Country, il Rockabilly, il Folk sino al Gospel, ai Canti della Chiesa Anglicana, alla tradizione della Appalachian Music ed alla musica della Louisiana.
Una canzone come “The Weight” contiene la mappatura cromosomica di tutta la cultura musicale nordamericana. All’interno dei suoi fraseggi, del suo inconfondibile coro e dei suoi giri armonici vi è impresso il sentire di una tradizione secolare ed allo stesso tempo sono instillati i semi di tutto ciò che sarebbe germogliato negli anni.
Gli effetti di questo disco furono enormi: la leggenda narra che Clapton, dopo aver ascoltato questo disco, decise che era giunto il tempo di chiudere l’avventura con i Cream per dedicarsi a qualcosa di meno “power” con i Blind Faith ma di sicuro quest’opera , a nome “The Band” e con una copertina disegnata da Dylan, che firmava “I shall be released” ed a fianco del quale The Band si era esibita in tour negli anni precedenti , divenne ben presto un chiaro e fermo punto di riferimento su quello che era lo stato dell’arte nella musica nordamericana.
Ecco perché Robbie Robertson, Levon Helm, Garth Hudson, Rick Danko e Richard Manuel non hanno mai fatto revival: hanno sintetizzato ed hanno scritto cose nuove che in poco tempo son diventate esse stesse tradizione e punto cardinale.
Ebbene sì, “Music from the Big Pink” è uno di quei dischi che può cambiare una vita ma soprattutto è uno di quei dischi che riesce a forgiare un’attitudine, un sentire ed una sensibilità che poi ritrovi negli anni, che non riesci a contenere, i cui angoli sono così pungenti e spigolosi che nulla a questo mondo riesce a smussarli, un mood che ritorna ciclicamente.
E Levon Helm, la cui voce ha spesso interpretato queste canzoni e le cui mani si sono rese padroni di un riconoscibilissimo ed inconfondibile drum style (il batterista rock più apprezzato da Buddy Rich, si dice), più di altri, è sicuramente riuscito ad interpretare questo mood anche con la sua esistenza, testimoniando sempre, con le sue scelte professionali e private, la voglia di rispettare profondamente l’orgoglio di una cultura e di scrivere, con serenità, arte, rigore e profondissima modestia, delle indelebili pagine di storia musicale.
Fu lui a battersi ed a minacciare di non salire sul palco quando seppe che la produzione voleva escludere Muddy Waters dalla corposa guest list di “The Last Waltz”, film col quale Martin Scorsese impresse su pellicola l’ultimo concerto della Band e fu lo stesso Helm, alla fine di una esperienza così unica ed irripetibile a tornare alle radici, ad immergere le mani nel terreno umido e pregno di tradizione e di cultura musicale e fu di nuovo musica. Tra il Dylan di Before the Flood ed il Neil Young di On The Beach fu di nuovo blues mettendosi di nuovo a disposizione per il Re Muddy Waters con i suoi Woodstock Studios per l’ultimo album che Muddy incise per la Chess Records, “The Muddy Waters Woodstock Album “.
E fu proprio in questi studios che nacque e si sviluppò via via l’idea della Midnight Ramble con la quale Helm è arrivato fino ai giorni nostri, l’idea cioè di uno spettacolo all star col quale celebrare il meglio della tradizione musicale americana, uno show itinerante che, come un nuovo Old Time Medicine Travelling Show , diffondesse gioia e piacere in un never ending tour con un rigore, una passione ed un’energia che neanche un cancro alla gola diagnosticatogli agli inizi del nuovo secolo, riuscirono a fermare.
E vennero i nuovi album: i Grammy per Dirt Farmer del 2007 (Best Traditional Folk Album) e per Electric Dirt del 2009 (Best Americana Album) e tornò la sua musica, infinito piacere per le anime e contemporaneo collante tra diverse generazioni (glue , lo ha definito Jeff Tweedy dei Wilco in suo recente ricordo). Tornò più forte che mai la Midnight Ramble la cui testimonianza è impressa nel cd/dvdRamble at Ryman del 2011 e tornò presente il suo sorriso sugli stages di ogni angolo degli Stati Uniti: eterno sorriso che si apre al piacere e per il piacere della musica, simbolo di un’esistenza che è andata oltre le generazioni diventando fondamenta della storia musicale americana a cavallo dei due millenni.
Per tutto questo non avremo mai abbastanza parole di ringraziamento. Ci resta un enorme tesoro di musica, canzoni scolpite nel nostro animo come statue nella roccia ed una fenomenale lezione di vita.
Thank you very much Levon, God Bless you.
Giovanni de Liguori
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